Irriducibile Livatino. Un giudice come Dio comanda

Di Valerio Pece
14 Maggio 2021
L’insegnamento di un (beato) uomo di legge che la fede aveva reso integro nel giudizio, micidiale verso i mafiosi, modello per i colleghi
Il giudice Rosario Livatino

Alla guida della sua auto, diretto al tribunale di Agrigento, il 21 settembre 1990 il giudice Rosario Livatino viene raggiunto da cinque giovani armati. Riesce a scappare nei campi ma ha solo il tempo di chiedere: «Che vi ho fatto, picciotti?». I suoi assassini lo massacrano di colpi, l’ultimo al viso. Ha solo 38 anni. Aveva rifiutato la scorta «per non lasciare vedove e orfani».

Con tanto scrupolo e passione nessuno aveva mai indagato il mondo di Rosario Livatino: la sua perizia tecnica, il contesto sociale e professionale in cui operò, i suoi più intimi convincimenti. Con Un giudice come Dio comanda (Il Timone), anche attraverso lo studio dei provvedimenti giudiziari sottoscritti dal giudice siciliano, hanno sapientemente colmato la lacuna i magistrati Alfredo Mantovano e Domenico Airoma e l’avvocato e professore emerito di Diritto penale Mauro Ronco

Copertina di "Un giudice come Dio comanda", libro su Rosario Livatino di Mantovano, Airoma e Ronco

Attraverso pagine colme di gratitudine («esito della riflessione comune maturata nell’ambito del Centro studi Rosario Livatino»), dopo aver accompagnato il lettore ad apprezzare «l’imponenza, la qualità e l’intensità del lavoro di contrasto alle mafie» compiuto dal giudice siciliano (in un tempo – fanno notare gli autori – in cui «non esisteva il 41 bis per i mafiosi»; in cui «“i pentiti” si contavano sulle dita di una mano»; in cui mancavano la procura nazionale e le procure distrettuali antimafia, figlie di una successiva intuizione di Falcone; in cui non v’erano ancora state le coraggiose denunce dell’imprenditore Tano Cariddi, né alcuna di quelle associazioni antiracket che tanto avrebbero fatto «per un mutamento della considerazione sociale delle mafie»), Mantovano, Airoma e Ronco invitano a guardare la figura di Rosario Livatino come prototipo alto di una nuova immagine di magistrato. È questa la “pretesa” del libro. Convincente e argomentata. Rosario Livatino rappresenterebbe l’antitesi della magistratura che ingrossa “il Sistema” (il riferimento a quanto va emergendo dal “caso Palamara” – citato nell’opera – non è affatto causale). 

Tre lettere misteriose

Livatino non ha soltanto fuggito le correnti e con esse ogni aspirazione a posti di vertice; non solo si è limitato a parlare con le sentenze («in dodici anni di attività non ha mai rilasciato un’intervista»); non solo era ritenuto inavvicinabile dalla malavita («irriducibile a tentativi di corruzione proprio a motivo del suo essere cattolico praticante»), ma si è battuto strenuamente anche contro il cancro più devastante che affligge oggi la giustizia: «La pretesa di superiorità etica del magistrato, quell’“attivismo giudiziario” che decide che esistono vuoti normativi, e che punta a colmarli andando oltre i confini dell’interpretazione, per giungere all’“invenzione del diritto”». 

C’è di più. Gli autori arrivano a cogliere il «significato profetico della testimonianza di Livatino». Esisterebbe un “sistema” ancor più pericoloso di quello fatto di spartizioni e appartenenze, che mette insieme «non soltanto magistrati, politici e affaristi, bensì pure giudici di corti sovranazionali […], maître à penser, accademici, gestori dei circuiti dell’informazione, con l’obiettivo di cambiare non tanto la società, quanto l’uomo». È contro questa «ingegneria sociale» che Livatino, in ultima analisi, si batte. E lo fa appellandosi a quella coscienza che aveva messo “Sub tutela Dei”. Commoventi i passaggi del libro in cui si ricordano le tre lettere puntate – S.T.D. – presenti su ogni sua agenda. Scambiate inizialmente per un messaggi cifrati, segnano invece, scrive monsignor Michele Pennisi, vescovo di Monreale, «l’affidamento al Signore di tutto ciò che l’agenda scandiva, dalla vita familiare al lavoro, dalle preoccupazioni per l’incolumità alle speranze di matrimonio». Rosario Livatino sarà presto il primo magistrato in epoca moderna a essere beatificato

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