Articolo tratto dall’Osservatore Romano – In vista del referendum di venerdì 22 maggio, che potrebbe aprire le porte ai matrimoni fra persone dello stesso sesso, si susseguono gli appelli dei presuli irlandesi a votare «no». L’ultimo intervento è del vescovo di Clogher, Liam MacDaid, dopo analoghe lettere arrivate nei giorni scorsi dall’arcivescovo di Cashel and Emly, Kieran O’Reilly, dal vescovo di Elphin, Kevin Doran, dal vescovo di Galway and Kilmacduagh, Martin Drennan, e dal vescovo di Killala, John Fleming. Lettere pastorali simili tra loro, nelle quali si invitano i fedeli ad andare a votare per contrastare l’ipotesi che le unioni fra omosessuali possano avere gli stessi identici diritti dei matrimoni tra un uomo e una donna. Monsignor MacDaid, pur sottolineando la necessità e l’importanza di avere rispetto dei diritti umani e di riconoscere «diritti e responsabilità» anche all’interno delle unioni omosessuali, osserva che una scelta legislativa errata finirebbe per «destabilizzare ancora di più la famiglia e la società. Se dunque abbiamo serie riserve su questa proposta» (quella di equiparare le unioni gay ai matrimoni), «abbiamo la responsabilità di dirlo al nostro Governo».
Nelle settimane scorse l’arcivescovo di Dublino, Diarmuid Martin, ha esplicitamente annunciato che voterà «no» al referendum con il quale i cittadini irlandesi sono chiamati a esprimersi sulla modifica costituzionale che aprirebbe la strada alla legalizzazione delle nozze fra omosessuali. In un lungo discorso tenuto all’All Hallows College, dal titolo Marriage in the constitution is linked with the family, ha spiegato che nella Costituzione il concetto di matrimonio è strettamente legato a quello di famiglia e che, quindi, modificare la definizione tradizionale del matrimonio quale unione tra un uomo e una donna rappresenta una rottura con la storia umana e con la natura stessa di questa istituzione. Il presule ha criticato i politici che, «invece di intervenire con argomenti razionali di fronte alle preoccupazioni dei rappresentanti ecclesiali, semplicemente rispondono con brevi frasi come provenienti da un grammofono rotto».
L’arcivescovo di Dublino si pone sulla stessa lunghezza d’onda del presidente della Conferenza episcopale irlandese, Eamon Martin, arcivescovo di Armagh, più volte intervenuto per ribadire le ragioni della Chiesa contro la modifica costituzionale. Ragioni che hanno a che fare con la natura intrinseca del matrimonio e non sono dettate da un atteggiamento discriminatorio verso le persone omosessuali, che la Chiesa rispetta. «È la natura — ha affermato in un messaggio — che ci dice che le unioni tra persone dello stesso sesso sono fondamentalmente e oggettivamente diverse dall’unione complementare tra un uomo e una donna, per sua stessa natura aperta alla vita». In tal senso, «il matrimonio è molto più che una relazione d’amore tra due adulti consenzienti». Ma in gioco con il referendum, ha avvertito il primate d’Irlanda, c’è anche la libertà di coscienza e quindi la libertà di esprimere pubblicamente i propri valori e ciò in cui si crede: «Se la società adotta e impone una “nuova ortodossia” del matrimonio “gender-neutrale” definendolo semplicemente come unione tra due persone, uomo e uomo o donna e donna, sarà poi sempre più difficile parlare in pubblico del matrimonio come unione tra un uomo e una donna».
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