Irlanda del Nord, ipotesi amnistia sui crimini dei “Troubles” per una vera pacificazione
Non si tratta di un’amnistia, assicura John Larkin, ma soltanto della chiusura di qualsiasi procedimento penale precedente al 1998, anno in cui l’Irlanda del Nord andò ufficialmente incontro alla pace, attraverso gli Accordi del Venerdì Santo. A Belfast la proposta arriva dalle colonne del giornale più letto nelle sei contee del Nord Irlanda, e porta la firma dell’attorney general del parlamento di Stormont (una sorta di procuratore che collabora col governo come consulente giuridico), secondo il quale l’Ulster sarebbe finalmente pronto a fare questo passo per voltare definitivamente pagina e provare e costruire così il proprio futuro, visto che oggi il passato è ancora scomodo e rovente.
LA PROPOSTA. Perché l’Irlanda del Nord è una polveriera che dorme sulle braci dei “Troubles”, vecchie di 15 anni ormai ma sempre calde e capaci di infiammarsi in men che non si dica: una volta sono le polemiche per le parate primaverili, un’altra le manifestazioni dei protestanti per l’esposizione della Union Jack, un’altra ancora le risacche di violenza di stampo repubblicano, con pure qualche omicidio firmato dalle nuove componenti dell’Ira. Alle spalle, un trentennio di bombe, assassinii e attentati, per molti dei quali ancora si cerca giustizia. È proprio su questi che Larkin vorrebbe stendere un velo, per pacificare le antiche tensioni e azzerare risentimenti e vendette: «A volte il problema dell’amnistia è che si pensa che un crimine cessi di essere tale. Non sarà quello che accadrà qui: semplicemente non saranno più possibili procedimenti rispetto a quelle vicende».
DAL BLOODY SUNDAY A ENNISKILLEN. Per tanti irlandesi però quelle violenze non sono storia, ma fatti ancora attuali. Specie per i familiari delle vittime di quegli anni, a partire dal Bloody Sunday di Derry del 1972, strage su cui solo nel 2010 si è cominciato a fare chiarezza dopo che per anni è stata spacciata solo la versione “ufficiale” che giustificava i militari britannici: «È stato un omicidio di Stato», dice oggi Mickey McKinney, fratello di William, uno dei morti di quel giorno. Proprio Larkin, commentando all’Irish Times la proposta di Larkin, l’ha definita «ridicola». Se passasse un’amnistia – ha detto – «sarei molto arrabbiato: mio fratello e tutti gli altri sono stati assassinati. I soldati devono essere considerati responsabili per ciò che fecero quel giorno». Gli ha fatto eco Stephen Gault, che perse il padre nel 1987, ucciso da una bomba piazzata dall’Ira a Enniskillen, durante una commemorazione delle vittime dell’esercito britannico: «È decisamente disgustoso. L’uccisione di mio padre e di innumerevoli altre persone vengono così spazzate sotto il tappeto, soltanto per svoltare e andare avanti».
GERRY ADAMS. È quello che denunciano anche i figli di Jean McConville, vittima di uno degli omicidi più ambigui e terribili di quegli anni: la donna (nella foto in bianco e nero), madre di 10 bambini, accusata di essere una spia protestante, fu rapita dai “provos” dell’Ira nel 1972; uccisa e sepolta in una spiaggia, il suo corpo venne trovato soltanto nel 2003. Dalle indagini relative a quel rapimento è saltato fuori anche il nome di Gerry Adams, presidente dello Sinn Fein, il partito che ora regge il governo di coalizione assieme al Dup: sarebbe stato proprio lui a ordinare il rapimento, stando alla denuncia dell’ex militante Brendan Hughes. Attorno ad Adams, però, si è retto tutto il processo di pace che ha portato agli accordi del 1998. Se adesso dovesse saltare anche lui, difficile prevedere cosa potrebbe succedere in Ulster.
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