Invitalia: «La Bridgestone ha rifiutato un finanziamento per Bari»

Di Chiara Rizzo
08 Marzo 2013
Parla Domenico Arcuri, ad dell'agenzia italiana per i fondi alle imprese: «La multinazionale presentò una richiesta nel 2007, noi abbiamo dato l'ok, ma loro hanno bloccato tutto»

Dopo gli operai e i sindacati, anche il ministero dello Sviluppo giudica immotivata la chiusura dello stabilimento della Bridgestone di Modugno (Ba). È stato lo stesso ministro Corrado Passera ieri a scriverlo, attraverso l’ambasciata italiana a Tokyo, al Ceo della casa madre, Masaaki Tsuya, invitandolo a partecipare al tavolo sindacati-enti locali-governo-azienda che si terrà giovedì prossimo.
Nella vicenda Bridgestone qualcosa non torna nemmeno a Domenico Arcuri, amministratore delegato di Invitalia, l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti stranieri e lo sviluppo delle imprese, che gestisce la quasi totalità dei fondi erogati alle imprese dal ministero dello Sviluppo. Arcuri racconta a tempi.it un fatto in particolare che lo lascia perplesso. «Nel 2007 la Bridgestone Europe (ovvero la sede di Bruxelles che coordina gli stabilimenti europei, e che lunedì in conference call ha avvertito Bari della chiusura, ndr) ci presentò un piano per la realizzazione di un nuovo impianto industriale, credo che il nome sia K5, finalizzato alla produzione di pneumatici di primissima fascia. L’azienda prevedeva di investire 80 milioni di euro e ce ne chiese, allora, 20. Invitalia ha dato l’ok a questa pratica: ebbene, la Bridgestone stessa ha bloccato il finanziamento. La pratica è infatti ancora aperta nei nostri uffici. Dirò di più. Risalgono a lunedì mattina gli ultimi contatti tra i nostri uffici e quelli di Bridgestone».

«NO ALLA DELOCALIZZAZIONE». L’azienda leader nei pneumatici, contattando nel 2007 Invitalia, si è comportata come la stragrande maggioranza delle aziende, fin qui nulla di strano: durante la crisi anche le più grandi realtà hanno chiesto un aiuto per realizzare investimenti. Insolito è, invece, modus operandi tenuto dalla Bridgestone. Spiega ancora Arcuri: «Malgrado l’esito positivo della prima istruttoria del 2007, Bridgestone anziché presentarci la documentazione necessaria per sbloccare materialmente le somme (e cioè un programma preciso degli investimenti che intendeva fare), negli anni successivi presentò due nuove piani, con richieste maggiori di finanziamento». L’unico effetto di queste richieste è stato quello di bloccare la prima erogazione e questo anche se, spiega Arcuri, «da parte nostra si sia sempre mantenuto un atteggiamento di disponibilità. Siamo stati sempre pronti a venire incontro alle richieste dell’azienda, tanto da aver proseguito i contatti fino all’ultimo, cioè  alla mattina di lunedì 4 marzo».
Invitalia conferma che la Bridgestone monitorava continuamente la competitività dei propri stabilimenti europei, ma non c’è dubbio che per il settore occidentale quello italiano risultasse assolutamente competitivo, sia per l’alta qualità della produzione, sia per i costi (non era il più caro). Dunque perché tagliare proprio Bari? Arcuri un’ipotesi la confida a tempi.it: «C’è un vincolo a cui sono sottoposte tutte le aziende che ricevono i nostri finanziamenti. Per un minimo di cinque anni non possono in nessun modo procedere a piani di delocalizzazione. E se lo fanno, non solo devono restituire interamente le somme ricevute, ma devono anche pagare penali salatissime».

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