L’infinita sventura dei marò. E un dubbio di un certo calibro che non viene più a nessuno

Di Maurizio Tortorella
05 Settembre 2015
Sono stati davvero Latorre e Girone a uccidere i due poveri pescatori indiani? Tra mille polemiche inutili, l’unico a porsi davvero la domanda è Toni capuozzo

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Pubblichiamo la rubrica di Maurizio Tortorella contenuta nel numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

È dal 12 febbraio 2012 che i “fucilieri di Marina” Salvatore Girone e Massimiliano Latorre sono finiti in un guaio giudiziario infinitamente più grande di loro. Quel giorno i due marò, con altri quattro colleghi, erano a bordo di una petroliera italiana, la Enrica Lexie. La nave incrociava al largo del Kerala, una regione sulla costa sud-occidentale dell’India, e i militari avrebbero sparato contro un peschereccio, scambiandolo erroneamente per una delle tante imbarcazioni di pirati che battono l’area. Uccidendo due innocenti.

Sono trascorsi tre anni e sette mesi, in mezzo è accaduto di tutto: i marò sono stati in prigione per qualche mese, poi ospitati nell’ambasciata italiana; il governo italiano ha consegnato 300 mila dollari alle famiglie dei pescatori; nel 2013 i due sono tornati in patria per votare, poi sono stati «trattenuti» dal governo Monti, scatenando ira e ritorsioni commerciali dell’India; contraddicendosi, il governo ha poi fatto rientrare i marò in India e il ministro degli Esteri, Terzi di Sant’Agata, si è dimesso per polemica; nell’agosto 2014 Latorre, colto da ischemia, è tornato in Italia per curarsi e la sua convalescenza a casa è stata prorogata due volte.

[pubblicita_articolo]Quel che non è mai accaduto è che a Delhi il processo decollasse. Secondo gli avvocati italiani, ai marò non è stata ancora contestata alcuna accusa specifica: mancherebbe addirittura la configurazione del reato. Con una lentezza superiore perfino a quella della giustizia italiana, i giudici indiani hanno fatto qualche udienzina e disposto qualche stanca perizia. Ma del giudizio vero e proprio non s’è visto nulla. Tre anni e sette mesi, più di 1.300 giorni, ovvero 31.300 ore. Trascorsi invano.

Tardivamente, nel maggio scorso, l’Italia si è accorta che avrebbe potuto chiedere un arbitrato al Tribunale internazionale per il diritto del mare di Amburgo, un’istituzione giuridica che dirime importanti vertenze “marittime” tra Stati. Il governo di Roma ha finalmente posto a quel Tribunale una questione più che sensata: poiché i fatti sono accaduti in acque internazionali, ha chiesto di togliere il caso all’India e di riportare a casa i due accusati. Il 24 agosto scorso il Tribunale di Amburgo ha risposto con un colpo al cerchio e uno alla botte: l’India deve sospendere ogni procedura, ma i marò restano in carico a Delhi. Il caso passa ora sotto la giurisdizione della Corte arbitrale dell’Aja.

Il giallo dell’arma del delitto
Bene. In tutto questo tempo, trascorso tra infinite polemiche (pro-marò da una parte, antimilitaristi dall’altra), nessuno sembra essersi posto un problema piccolo-piccolo. Questo: ma quel 12 febbraio di tre anni e sette mesi fa hanno davvero sparato, Latorre e Girone? Sono stati loro a uccidere i due poveri pescatori del Kerala? L’unico che si è fatto la domanda è Toni Capuozzo, inviato dei tg Mediaset e autore del saggio Il segreto dei marò (Mursia, 280 pagine, 16 euro).

Il giornalista scrive che «il 26 febbraio 2012 la polizia di Kochi ha sequestrato (a bordo della Enrica Lexie, ndr) le armi dei fucilieri del San Marco: sei fucili Beretta Ar 70/90 e due mitragliatrici Fn Minimi, tutte calibro 5,56 mm. Qualcosa però non tornava, se i proiettili che hanno ucciso i due pescatori, secondo le misure del perito autoptico, sono calibro 7,62. (…) Il 1° aprile la polizia torna sulla Lexie: “Si sospetta che una delle armi utilizzate debba ancora essere sequestrata” scrive il Times of India. Ma a bordo non ci sono altre armi. È in questo momento che qualcuno, tra gli inquirenti, decide che i proiettili fatali devono per forza coincidere con le armi dei fucilieri di Marina, e non possono non essere di calibro 5,56».

Domandina banale: e se a uccidere i pescatori non fossero stati i due marò?

@mautortorella

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5 commenti

  1. k.

    Perito …?
    Chi in autoproclamato ingegner di Stefano
    con le sue perizie ” a distanza” prendendo spezzoni di filmati e foto e facendo calcoli scansionali su Scala ..?

    Come mai il buon Tony non ci chiarisce questo

    Oltre al fatto che perfino De mistura ..si dichiaro on un intervista che ” non è stato loro intenzione Sparare ai due pescatori ..

    Come mai …il gov. Ha pagato le famiglie gia prima del accertamento dei fatti …se non fossero stati loro?

    Basta con questa commedia please

    1. Magari

      Magari se leggi il libro di Capuozzo ci trovi le risposte ai tuoi dubbi. Così anche tu, che ti sei autoproclamato giudice, eviti le sentenze “a distanza”.

    2. Paolo

      Ma scrivere in italiano? Pare brutto?

  2. Sebastiano

    Ohè, Redazione, vi informo che sono xyzkecc. (o MicheleL, se volete).
    Così magari mi pubblicate il post….

  3. Sebastiano

    “…Domandina banale: e se a uccidere i pescatori non fossero stati i due marò?”

    Rispostina facile facile: NESSUNO fra coloro che per anni hanno spalato letame addosso ai due (dal Fatto Quotidiano ai giudici sommari di grillinesca specie, passando per l’universo dei centri sociali sinistrati e concludendo con l’ignavia e l’inettitudine dei governi farlocchi precedenti e attuale) si sognerà minimamente di CHIEDERE SCUSA.
    Anzi prevedo che, nel caso in cui fosse dimostrata l’innocenza dei due, molti tenteranno – secondo un’italica usanza – di fare le mosche cocchiere al grido di “noi l’avevamo sempre sostenuto” o, qualora impossibilitati, si trincereranno dietro il politically correct “occorreva rispettare la legge”, frasetta molto comoda quando si tratta di applicarla ai nemici e che quando si tratta di amici diventa “occorre interpretare la legge”.
    Suppongo anche che i vari ministri degli esteri, ad eccezione dell’unico che ha avuto la dignità di dimettersi, andrà pomposo in TV a favoleggiare di “risultato ottenuto grazie al nostro impegno serrato” e si indigneranno – a tre anni di distanza – persino per l’assurdità di una tale detenzione preventiva che in italia non viene applicata neppure ai peggiori malfattori. Al riguardo naturalmente ci saranno i solti idioti minimizzatori che diranno che “tutto sommato erano trattati bene, mica erano in galera”.
    Inoltre ci saranno i soliti giuristi sapientoni che pronunceranno il fatidico “si poteva evitare”, ma che non hanno proferito verbo né si sono stracciate le vesti quando l’india ha deliberatamente e frettolosamente distrutto un oggetto di prova quale il barcone e non ha fatto assistere la difesa all’autopsia delle vittime (roba da quinto mondo giuridico).
    Infine non potranno mancare i soliti maniaci del “cosa c’è dietro” che affermeranno di essere assolutamente certi dell’esistenza di un complotto/accordo-sottobanco in dispregio delle regole di quel diritto che dicono di difendere e che neppure conoscono.

    Beninteso: io non so se siano innocenti o meno. Non ho elementi né competenza, non dico per dare un giudizio (quello, nei paesi civili, è il mestiere dei giudici) ma neppure per farmi un’idea.
    Ma che in tre anni e mezzo non si sia arrivati non dico ad una sentenza, non dico a una prima udienza ma neppure a un rinvio a giudizio, la dice lunga. Molto lunga.

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