L’indipendenza della magistratura spiegata da Mattarella (ai magistrati, mica “a Nordio”)

Di Redazione
17 Maggio 2023
Il discorso per niente scontato del capo dello Stato sulle toghe «soggette soltanto alla legge», le sentenze «in nome del popolo italiano» e contro la «giustizia creativa»
Sergio Mattarella a Castel Capuano, Napoli, alla cerimonia d’inaugurazione della terza sede della Scuola superiore della magistratura
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a Castel Capuano, Napoli, alla cerimonia d’inaugurazione della terza sede della Scuola superiore della magistratura, 15 maggio 2023 (foto Ansa)

L’altro ieri, lunedì 15 maggio, a discorso di Sergio Mattarella appena pronunciato, molti siti di informazione, forse per una sorta di pigra associazione mentale basata sui soliti luoghi comuni su destra-sinistra-toghe, hanno pensato bene di presentare le parole del presidente della Repubblica sulla magistratura come una strigliata preventiva ai danni del guardasigilli Carlo Nordio, che proprio nella stessa occasione – l’inaugurazione a Napoli della terza sede della Scuola superiore della magistratura – aveva appena annunciato l’imminente presentazione al Consiglio dei ministri di «un primo pacchetto» di misure nell’ambito della sua temutissima (e per ora solo chiacchieratissima) riforma della giustizia.

“Mattarella a Nordio: indipendenza toghe è irrinunciabile” è il titolo rimbalzato da un sito all’altro con minuscole varianti sul tema. Poi, il giorno dopo, sui giornali si sono lette cronache e commenti un po’ più centrati sul senso effettivo del messaggio del capo dello Stato. Il “monito” di Mattarella non era più rivolto “a Nordio”. Anche a lui, per carità. È innegabile che la sollecitazione a rendere il processo, penale e civile, «uno strumento più agile e moderno» fosse destinato a «governo e parlamento, magistratura e avvocatura», quindi a tutti i poteri dello Stato, perché dalla capacità di modernizzare la giustizia dipende per l’Italia una buona parte dei fondi europei del Pnrr. Ma soprattutto, sui giornali di ieri, pur con qualche timidezza nella titolazione è stato più correttamente recepito il fatto che il richiamo sull’indipendenza della magistratura era a rivolto in primo luogo ai magistrati stessi. E che richiamo.

Giudici indipendenti perché «soggetti alla legge»

A Napoli Mattarella ha redarguito le toghe su diversi aspetti cruciali per la loro credibilità: dalla necessaria «uniformità delle decisioni» da cui dipende la loro «prevedibilità» (che è un valore, non un disvalore) alla lotta al «malcostume interno» (riferimento chiaro sebbene non esplicito ai recenti scandali che hanno coinvolto il Csm). Ma è soprattutto a proposito dell’indipendenza dei magistrati – proprio il principio al quale i magistrati stessi si appellano ogni volta per contestare il ministro di turno – che il capo dello Stato ha fatto l’affondo più notevole, rovesciando in un certo senso un paradigma.

Chi lo spiegato probabilmente meglio di tutti è il quirinalista del Corriere della Sera, Marzio Breda, considerato il principe degli esegeti del verbo del Colle. Il passaggio chiave del discorso di Mattarella (qui il testo integrale) è quello in cui il presidente ha voluto spiegare, appunto, in che cosa consista «l’essenza dell’indipendenza della magistratura come patrimonio irrinunziabile dello Stato di diritto e della nostra democrazia». Indipendenza della magistratura non significa che il magistrato in Italia non dipende da nessuno, e che non debba rispondere a nessuno o che risponda a chi vuole, magari al popolo. Significa invece che «nel quadro degli equilibri costituzionali i giudici sono “soggetti soltanto alla legge”», ha ricordato Mattarella citando una recente pronuncia della Corte di cassazione. Sembra un’ovvietà, ma la cronaca insegna che non lo è.

«Poniamo ad esempio alcuni diritti civili…»

Il giudice è indipendente proprio perché “dipende” dalla legge. «Il che crea», ha continuato Mattarella sempre citando la Cassazione, «l’unico collegamento possibile, in uno Stato di diritto, tra il giudice, non elettivo né politicamente responsabile, e la sovranità popolare, di cui la legge, opera di parlamentari eletti dal popolo e politicamente responsabili, è l’espressione prima». Di qui l’onore e l’onore di pronunciare sentenze “in nome del popolo italiano”: «Non perché i magistrati siano chiamati a rispondere di fronte ad esso delle decisioni assunte», ha precisato Mattarella, ma perché sono vincolati alla legge che del popolo è espressione.

Commento perfetto di Breda:

«Un passaggio che porta al distinguo tra interpretazione e applicazione delle norme. Problema che emerge a volte con la cosiddetta “giustizia creativa”, alla quale magari qualche toga ricorre, su pressione dei cittadini. Poniamo ad esempio alcuni diritti civili di cui si chiede tutela (come il riconoscimento dei figli di coppie omogenitoriali), diritti su cui mancano leggi ad hoc. Si tratta, spiega Mattarella, di casi che hanno “connotazioni nuove e inedite, rispetto alle quali è difficile rinvenire una chiara disciplina normativa, nonostante sia stata a più voci sollecitata”. Su questo “vi sono indubbiamente alcuni ritardi del legislatore”, ossia del parlamento. Ma ciò non autorizza la giustizia ad azioni di supplenza e non giustifica indebite espansioni del ruolo, né “la pretesa di creare norme per soddisfare esigenze che non possono trovar riscontro nell’ambito della funzione giurisdizionale”. In definitiva: “Poiché la Costituzione definisce con puntualità l’ambito delle attribuzioni che sono affidate agli organi giudiziari, come i compiti e le decisioni che appartengono invece ad altri organi”, ciascuno può rispondere unicamente nei limiti del potere assegnatogli».

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