India, il pianto per le bambine abortite e gli ululati per abortire di più

Di Caterina Giojelli
01 Settembre 2020
Come convive la denuncia del genocidio femminile con le incessanti campagne per il diritto delle donne ad eseguire interruzioni di gravidanza più facili e accessibili?

Nei giorni scorsi è stato dato ampio risalto all’imponente studio della King Abdullah University of Science and Technology dell’Arabia Saudita pubblicato dalla rivista Plos One: analizzando il rapporto tra i sessi alla nascita in 29 Stati e territori indiani e confrontandoli con i risultati delle ricerche sulle preferenze ad avere un figlio maschio o femmina, il team ha concluso che tra il 2017 e il 2030 in India non vedranno la luce circa 6,8 milioni di bambine.

SETTEMILA BAMBINE ABORTITE OGNI GIORNO

Nulla di nuovo, se mai è possibile abituarsi al numero delle bambine uccise dall’aborto selettivo: lo scorso anno Adf International aveva lanciato l’allarme: «Ogni giorno 7.000 bambine vengono abortite in India solo perché sono femmine e non maschi». Nel 2015 Lancet contava in India 15,6 aborti l’anno, 43 mila al giorno. Nonostante la diagnosi prenatale del sesso dei nascituri sia proibita dal 1994, il divieto non ha mai stacolato le attività di screening nelle cliniche: in dieci anni è stato impedito di nascere o crescere (molte neonate vengono lasciate morire di stenti dopo il parto) a 63 milioni di bambine e secondo uno studio commissionato dal governo nel 2018 sono 21 milioni quelle “indesiderate” per motivi economici e culturali e 2 milioni quelle “disperse” a causa di noncuranza e malnutrizione: in India la proprietà passa solo ai maschi e le usanze matrimoniali richiedono che i genitori delle ragazze paghino una dote sostanziale, per questo le famiglie (non solo nelle campagne, anche nelle città più avanzate, non solo tra le caste più povere, ma anche tra benestanti) rifiutano figlie femmine, un fardello costoso e inutile.

I GIORNALI PARLANO DI FEMMINICIDIO E GENOCIDIO DI GENERE

Un anno fa la notizia dei “villaggi senza bambine” aveva trovato posto sui giornali di tutto il mondo: 216 nati in tre mesi in 132 villaggi e nessuno era femmina, il governo di Uttarkashi aveva aperto una indagine e istituito una task force di 25 investigatori per capire che ne fosse delle bambine scomparse. Oggi Repubblica dà ampio risalto allo studio pubblicato su Plos One denunciando il fenomeno dei «femminicidi per “aborto preventivo”, denunciato con cifre preoccupanti dallo stesso rapporto 2020 del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione» e la prospettiva di un «genocidio di genere» e «record negativi che non riguardano soltanto gli stati più poveri e tradizionalisti». Sono parole giuste, l’India ammazza le sue figlie.

I GIORNALI DENUNCIANO IL MANCATO ACCESSO ALLE PILLOLE ABORTIVE

Tuttavia manca un pezzo di narrazione. Come convive la denuncia ad alta voce dell’aborto selettivo con quella dello stesso Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione che a causa delle interruzioni alla pianificazione famigliare in seguito a Covid segnala fino a 7 milioni di gravidanze indesiderate in tutto il mondo? «L’accesso all’aborto è migliorato in India, ma la pandemia ha portato alla carenza di pillole abortive in diversi stati esaminati dalla Foundation for Reproductive Health Services India – scrive il Nyt -. Solo l’1 per cento delle farmacie negli stati settentrionali come Haryana e Punjab le aveva, il 2 per cento nello stato meridionale del Tamil Nadu e il 6,5 per cento nello stato centrale del Madhya Pradesh. A Delhi il 34 per cento».

COVID E CAMPAGNE PER L’ABORTO ACCESSIBILE

Negli stessi giorni in cui si parlava di ecatombe delle femmine Bloomberg rincarava la dose: «L’epidemia ha consumato medici e infermieri del settore pubblico indiano, a danno delle procedure di sterilizzazione, il metodo di pianificazione familiare preferito tra le donne indiane sposate», secondo l’organizzazione Marie Stopes International (da Marie Stopes che nel 1921 aveva fondato la Società per il Controllo Costruttivo delle Nascite e il Progresso Razziale), aver considerato durante l’emergenza Covid i servizi di pianificazione familiare come non prioritari porterà a «un milione di aborti non sicuri aggiuntivi, 650.000 gravidanze indesiderate», per questo «il governo dovrebbe coinvolgere maggiormente il settore privato» in un momento in cui «le persone sono confinate nelle loro case, quindi c’è una maggiore possibilità di gravidanze non pianificate». Il collettivo femminista Hidden-Pockets Collective ha pertanto deciso di implementare l’aiuto a «milioni di donne in India che cercano un aborto non sono in grado di trovare un servizio onesto e affidabile e ricorrono a professionisti non qualificati o ad aborti medici senza consultazione» fornendo consulenza via whatsapp per indicare le cliniche che praticano le interruzioni di gravidanza in modo «affidabile e conveniente».

IL TEOREMA DELLA DISCRIMINAZIONE DELLE MADRI

Il Guttmacher Institute (da Alan Guttmacher, medico collaboratore e successore di Margaret Sanger alla guida di Planned Parenthood, esponente di spicco del movimento per il controllo delle nascite che spiegava «Se vai a reprimere una popolazione, è molto importante non farlo come un dannato yankee, ma per conto delle Nazioni Unite. Perché in tal modo non è considerato un genocidio»), attivissimo con le sue campagne in India, a gennaio teorizzava che «vietando l’aborto sulla base della selezione del sesso, della razza o dell’anomalia genetica» si «stigmatizzano le donne incinte di colore che cercano di abortire mettendo in dubbio la motivazione dietro la loro decisione di abortire». Di più, che i «divieti di aborto selettivo non funzionano per prevenire la selezione del sesso, perché questi divieti non fanno nulla per sfidare il fenomeno della preferenza del figlio o le sue cause sottostanti», e che «piuttosto che proteggere queste comunità, le leggi perpetuano stereotipi dannosi e mettono a rischio le donne rendendo l’aborto meno accessibile».

È FETICIDIO SOLO IN CASO DI SELEZIONE SESSISTA?

Si può parlare di feticidio quindi solo in caso di selezione sessista, di aborto sicuro solo quanto più è libero e accessibile e senza alcuna restrizione? E in che modo l’aborto libero e accessibile avrebbe migliorato o dovrebbe migliorare le condizioni delle donne in India quando la vita di una donna indiana vale appunto meno di niente? Che spazio hanno trovato le donne morte dissanguate nei villaggi del Rajasthan dopo aver assunto la Ru486 nel discorso sull’aborto legale e sicuro? E come convive il piantino dedicato ciclicamente alle bimbe abortite con le campagne incessanti per l’accesso all’aborto come strumento di emancipazione femminile? Secondo Lancet in India il 16 per cento degli aborti è motivato dal sesso del nascituro: cioè dettato da orrendi stereotipi, ignoranza, motivi economici e culturali. Nell’84 per cento dei casi in India è invece espressione di diritti e libertà?

Foto Ansa

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