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In morte di Federica, gran pescatrice di anime

Quante cose ha fatto nella sua vita, assieme al marito Marco. Tutte all'insegna di una fede solida, feconda e aperta all'incontro con l'altro

Rodolfo Casadei
29/09/2021 - 5:50
Società
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Federica Graci Piermarini con la sua famiglia
Federica Graci Sermarini con la sua famiglia

Non riesco a immaginare la Compagnia dei Tipi loschi di San Benedetto del Tronto, la scuola parentale G.K. Chesterton, la cooperativa sociale Capitani Coraggiosi, la Polisportiva Gagliarda, la cooperativa Hobbit, il Centro educativo La Contea senza Federica Graci. Federica e Marco Sermarini sono stati la rappresentazione in carne ed ossa di che cosa sia la fecondità promessa dalla grazia sacramentale del matrimonio cristiano.

Siete matti, ce la farete

All’inizio c’è l’esitazione, la paura di non farcela. Federica, “turris eburnea” conquistata da Marco dopo un lungo corteggiamento, non voleva figli perché aveva paura del parto. Ha generato cinque figli a questo mondo e quattro in Cielo. Dopo che è nato Pier Giorgio, il primogenito la cui gestazione è stata accompagnata da infinite preghiere al Beato Frassati, la vita si è manifestata prorompente come un fiume in piena che non distrugge ma fertilizza lì dove passa. Dalla compagnia iniziale, che proseguiva l’originaria esperienza scout in termini non adulterati, raccomandata e benedetta dal vescovo, sono nati un doposcuola, poi le cooperative sociali, la società sportiva, la scuola parentale – l’azzardo, la follia che fece dire al loro amico Franco Nembrini (quello delle letture e dei libri su Dante) «voi siete matti, perciò riuscirete» – la collina di Santa Lucia prospiciente l’Adriatico trasformata in un centro educativo e conviviale che non poteva non chiamarsi La Contea.

Sono nati anche tanti figli, fratelli e sorelle nello spirito. Prova ne è il fatto che oggi che Federica è morta dicono: «Ho perso per la seconda volta mia madre», oppure: «ho perso una sorella». Quando aveva 20 anni, Federica pregava con le parole di san Giovanni Bosco: «Toglimi tutto, ma dammi le anime». Preghiera esaudita.

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Una compagnia frassatiana-chestertoniana

Non sono in nessun modo l’avvocato dell’intellettuale e giornalista americano cristiano ortodosso Rod Dreher, ma per onestà intellettuale mi sono ritrovato a difenderlo persino davanti a un cardinale (di cui non dico il nome) dall’accusa di aver idealizzato nel suo libro L’Opzione san Benedetto un cristianesimo dei puri che si separano e si autosegregano dal mondo.

Non è così, ho precisato infinite volte, perché nel libro si fa qualche esempio concreto dello stile di vita cristiana che l’autore propone, e per quanto riguarda l’Italia l’esempio è proprio quello della frassatiana-chestertoniana Compagnia dei Tipi Loschi di san Benedetto del Tronto, da cui sono nate opere e una rete di rapporti umani assolutamente evangeliche. Tutto il contrario di una setta ripiegata su se stessa o di un’elitaria esperienza eremitica.

Il diavolo ha paura di chi ride

Bisogna saper uscire dagli schemi mentali di ogni tipo. Nella mentalità dominante, anche in ambienti ecclesiali, un soggetto che promuove una scuola parentale, ama e frequenta la Messa in rito antico celebrata dai monaci benedettini di Norcia (ma anche tutte le altre Messe) e dove un malato grave come Federica nelle ultime settimane offre le sue sofferenze per la guarigione niente meno che del cardinale Raymond Burke, proietta un’immagine arcigna, rigida, chiusa. E invece no, le cose stanno proprio all’opposto.

Le pecore bergogliane con quel loro odore, i poveracci, la gente comune, i piccoli, i timidi, i semplici, gli stranieri li trovate alla Contea, nelle aule della scuola parentale, al lavoro nelle cooperative sociali, a giocare con gli altri ragazzini nei centri estivi la cui gestione i comuni del comprensorio appaltano a loro (che strani questi cristiani chiusi nel loro rifugio: con una cooperativa gestiscono tre doposcuola con circa 120 tra bambini e ragazzi, cinque circolini con altri 185 tra bambini e ragazzi, sette centri estivi e un servizio di assistenza domiciliare, in una realtà piccola come San Benedetto del Tronto). E soprattutto trovate l’allegria, la letizia, l’ascolto, la gratitudine che in tutto vede un dono, l’arguzia nei giudizi sul mondo contemporaneo che sono il contrassegno della spiritualità di Pier Giorgio Frassati, di Gilbert Keith Chesterton, di san Giovanni Bosco. Diceva quest’ultimo: «Il diavolo ha paura della gente che ride». Esatto. E il beato Frassati: «Tu mi domandi se sono allegro; e come non potrei esserlo? finché la Fede mi darà forza, sempre allegro! Ogni cattolico non può non essere allegro: la tristezza dev’essere bandita dagli animi cattolici».

Una ecologia integrale

Alcuni hanno fatto fatica ad accettare la scelta di Federica e Marco di curare la malattia di lei sul posto, senza allontanarsi da San Benedetto per trovare altrove strutture più qualificate. Io me l’aspettavo, per quel poco che ho capito del loro rapporto con la vita e col creato. Non si può vivere e non si può morire lontano dagli affetti; non si sradica una pianta per curarla. Il luogo dove si nasce, si cresce, si mettono al mondo figli nella carne e nello spirito, si apre una scuola, ci si inginocchia a pregare, si compra un’intera collina nello spirito dei “tre acri e una vacca” del distributismo di Hilaire Belloc, è l’unico luogo al mondo dove si può vivere e morire, curare la vita e abbracciare la sua fine.

La Contea non è una romanticheria adolescenziale, l’orticoltura, il parco tutto composto di piante locali, l’allevamento degli asini e delle api, i laboratori di educazione ambientale con i bambini (finanziati anche con l’8 per mille della Chiesa Valdese! Della serie: i cattolici delle Messe in latino ripiegati su se stessi…) non sono fissazioni ecologiste. Sono l’ecologia integrale dell’uomo che ha i piedi piantati sul terreno con la stessa forza delle radici della quercia e la testa innalzata fra le stelle del Cielo di Dio.

Sempre presente

Non riesco a immaginare tutto questo senza Federica. E infatti continuerà a esserci. Fra i banchi che ospitano i 90 iscritti della scuola parentale cresciuta fino a diventare una combinazione di medie inferiori, liceo scientifico e istituto professionale, come nei momenti di festa e nelle occasioni di convivialità sul colle di Santa Lucia, continuerà ad essere presente.

A me che vivo a 500 chilometri da quei luoghi basterà prendere in mano il quadernone ad anelli con l’intestazione della Scuola libera G.K. Chesterton che mi donò due anni fa quando partecipammo a un pellegrinaggio in Terra Santa, per avvertire la di lei presenza. Nel frattempo è diventato il manoscritto di Una storia popolare, il libro intervista sulla vita di Roberto Formigoni che ho fatto in tempo a regalarle nel luglio scorso. Mentre stava per compiersi la tua preghiera, Federica: «Toglimi tutto, ma dammi le anime».

Foto Facebook

Tags: Gilbert K. Chestertonrod dreher
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