La preghiera del mattino

L’impossibilità di un macronismo italiano (al netto delle liti tra i capponi Renzi e Calenda)

Carlo Calenda e Matteo Renzi
Carlo Calenda e Matteo Renzi, leader rispettivamente di Azione e Italia viva (foto Ansa)

Su Fanpage Annalisa Cangemi scrive: «“Non siamo personalità facili. Io e Renzi di sicuro, ma neanche la Bonino (che non è presente all’evento, ndr). Del resto, però, le leadership servono. È questa la politica. Il lavoro va fatto con serenità e pragmatismo. Costruendo rapporti di fiducia, rapporti politici, ma verificando la credibilità che quella proposta ha. Nel momento in cui si faranno le liste per le Europee bisogna capire se gli italiani sono pronti a votare un progetto così. È un lavoro culturale molto complicato. Bisogna creare le condizioni. Non ci siamo riusciti come terzo polo, speriamo di riuscirci come Renew Europe”, ha detto ancora il leader di Azione».

Le leadership senza dubbio sono essenziali in politica ma non possono sostituire né la base sociale di riferimento né la cultura storica di un partito. Repubblicani e liberali hanno avuto un grande ruolo nella Prima Repubblica perché esprimevano gli orientamenti di settori fondamentali della finanza laica e della nostra grande industria, e perché culturalmente erano legati alle grandi correnti mazziniane e liberali del Risorgimento. Non mi pare che oggi vi sia una grande finanza laica o una grande industria liberale che sostengano concretamente la formazione di un terzo polo politico tra destra e sinistra. Quanto alla cultura politica che sorregge i promotori del cosiddetto terzo polo, si può certamente dire che Renzi proviene da una grande scuola, quella fanfaniana. Ma fare l’“Amintore” senza quell’irripetibile partito che è stata la Dc, è come fare il panettiere senza il forno. Per quel che riguarda Calenda, si coglie subito come si tratti di un politico che si è formato alla scuola di Luca Cordero di Montezemolo. E, come è noto, montezemolismo e cultura politica sono un ossimoro.

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Su Startmag Carlo Terzano scrive: «E anche Bonometti non è un interlocutore casuale, dato il suo passato da presidente in Confindustria Lombardia nel quadriennio 2017-2021. E proprio in quel ruolo, a fine marzo ’21, esprimendo preoccupazione sul futuro degli stabilimenti italiani, disse: “Non vorremmo affrontare un’altra storia come quella dell’Ilva, dove emergono tutti i limiti di una parte importante della politica italiana. Il settore dell’auto a livello nazionale vale 400 miliardi di euro di fatturato e 27 di salari, pari al 20 per cento del Pil, ma l’Italia non l’ha mai considerato strategico. Non discutiamo il libero mercato, un’impresa ha ragione di muoversi come vuole; la responsabilità è quella di non aver creato le condizioni affinché le aziende italiane dell’auto fossero competitive in modo strutturale. Bene gli incentivi, ma dobbiamo togliere burocrazia e rendere attrattiva l’Italia”».

A lungo, parte non secondaria degli imprenditori italiani ha guardato con ragionevole sospetto e preoccupazione ad alcune tendenze nazionalistico-protezioniste presenti nel centrodestra italiano. Il governo Meloni al momento sembra avere, con le sue scelte europee e internazionali, superato certe paure e riserve, aiutando così la nostra borghesia a riflettere su alcune asimmetrie di una competizione con altre industrie e finanze, come per esempio quelle francesi (nonché cinesi), così ben sostenute dai loro Stati. Anche questo processo erode alla base il progetto del terzo polo.

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Sul Sussidiario Paolo Torricella scrive: «Definitivamente chiusa la parabola del duo RenziCalenda. I due pretendenti dioscuri sono diventati fratelli coltelli, ignorando ogni avvertimento che molti avevano lanciato. La loro definitiva spaccatura è condita da un’inesorabile deriva intellettualistica. Cercare un partito liberale di massa, inneggiare a Rosselli, invocare il “saper fare” e poi non riuscire a non accoltellarsi sfociando in una rissa tra capponi in pubblico dice tanto ad un elettorato potenziale che li vede oramai come due inutilizzabili egotici che nulla hanno “di centro”. La capacità di costruire ponti, di dialogare e portare avanti valori popolari e condivisi è una cosa che i due non sanno fare ma che è l’unica cosa che interessa all’elettorato moderato che vuole garanzie di serietà anche nei modi e nelle forme, oltre che nei contenuti».

Comprendo bene che chi commenta i fatti di ogni giorno si debba anche occupare delle degradanti liti tra Calenda e Renzi, però quando si esce dalla cronaca e si cerca di comprendere le tendenze più generali alla base della politica italiana, la cosa principale su cui ragionare è l’impossibilità del progetto renziano (non parliamo del povero Calenda che non mi pare interessato o comunque portato per le riflessioni politiche), cioè quello di imitare l’operazione tentata da un Emmanuel Marcon che ha voluto emarginare sia la destra sia la sinistra a favore di una piattaforma essenzialmente tecnocratica. Questa operazione è fallita a Parigi nonostante una grande industria ancora vitale, una finanza autorevole, una borghesia laica vasta e influente; tentarla a Roma senza nessuna delle condizioni che l’hanno resa pensabile Oltralpe, è più o meno uno scherzo.

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Su Dagospia si riprende un articolo del Corriere della Sera dove si scrive: «Da Renzi a Gelmini, da Fioroni a Signorile, da Quagliariello a Librandi. Letizia Moratti ci riprova e mette intorno a un tavolo non solo i tanti frammenti che non si riconoscono nei due schieramenti principali, ma tenta un’operazione ad altissimo coefficiente di difficoltà: rimettere insieme gli ex amici del terzo polo. Ieri, il primo passo ufficiale. C’era Renzi».

Dopo la Prima Repubblica, anche la Seconda sta lasciando dietro di sé tanti naufraghi che ormai sostituiscono una concreta visione politica con rancori, nostalgie di protagonismi e luci della ribalta, spirito di ritorsione e vendetta, insoddisfazione per carriere e poteri piccoli o grandi svaniti. È un peccato che in questa tendenza talvolta oltre a personalità prive di consistenza siano coinvolte anche intelligenze di qualità. Ragionando oltre alla cronaca, si tratta di riflettere se certe istanze personalistiche siano frutto di tendenze politiche più profonde. Dalla mia, credo che esaurite le culture politiche prodotte dalla guerra civile europea (1914 Prima Guerra mondiale – 1991 scioglimento dell’Unione Sovietica) ci sia bisogno di una politica fondata sulle due grandi correnti che dividono l’Occidente, quella conservatrice e quella socialdemocratica/liberal, che siano però in grado di valorizzare le singole personalità al di là delle gerarchie di partito, dando un potere di selezione ai cittadini. E, in questo senso, penso che un sistema basato sui collegi uninominali (con primarie accluse) sarebbe il più adatto per sostenere questo assetto politico. E se ci fossero forze che vogliono testimoniare una divergenza da conservatori e socialisti/liberal? Cerchino un loro spazio come in Gran Bretagna, inevitabilmente però per testimoniare idee e princìpi, non per cercare posti o potere.

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