«Impossibile un altro miracolo italiano se lo aspettiamo dallo Stato»
Articolo tratto dal numero di giugno 2020 di Tempi. Questo contenuto è riservato agli abbonati: grazie al tuo abbonamento puoi scegliere se sfogliare la versione digitale del mensile o accedere online ai singoli contenuti del numero.
È stato tra i più lucidi a mettere a fuoco la questione: «La pandemia passerà, ma i residui del modello statalista rimarranno». Giuseppe De Rita, sociologo, presidente del Censis, ha 88 anni e la memoria abbastanza lunga per ricordare che nel dopoguerra «l’Italia l’hanno fatta gli italiani, non lo Stato». In diverse interviste e interventi sui quotidiani, De Rita ha notato che la nostra società è stata colpita da una certa “stanchezza”.
«Abbiamo corso tanto dal ’45 a oggi», dice a Tempi. «Alla fine della guerra eravamo un popolo di straccioni e poveracci. Chi ha conosciuto l’Italia negli anni Cinquanta non avrebbe mai immaginato che saremmo diventati il paese che siamo. C’è stata una forza di volontà e un’intensità di sforzo incredibile. Valenza Po, Fabriano, Carpi, Prato e mille altri posti nel nostro paese sono stati letteralmente trasformati da persone che erano delle vere e proprie “macchine da guerra”. Per quarantacinque anni abbiamo corso come dei matti».
E poi? «Poi questa grande corsa è finita. O meglio, dagli anni Duemila, sono ormai vent’anni, è diventata una corsa non per “fare” qualcosa di nuovo, ma per difendere con le unghie e con i denti ciò che avevamo conquistato. Corriamo per restare dove siamo, come se fossimo su un tapis roulant».
Questa corsa sul posto ha oggi enfatizzato un problema che c’era anche prima del coronavirus: l’attesa che sia lo Stato a risolvere ogni nostro assillo. «Ma lo Stato, da solo, non può farcela», chiarisce subito il sociologo, che è preoccupato dal fatto che se lo Stato si presenta come l’unico in grado di dare risposte, poi ingenera nelle persone delle false aspettative che andranno irrimediabilmente deluse.
«Pensi anche alla beneficienza: la maggior parte è stata fatta alla Protezione civile. O pensi all’azione di governo, tutta una serie di circolari e ordinanze per dire cosa non fare». Ma la società non è fatta di circolari e carte bollate, dice De Rita, bensì da persone che si muovono, brigano, fanno. «Se tu prometti di risolvere ogni problema, castri il desiderio, la libido, la voglia di fare». In una parola, solleciti l’inattività.
È un po’ la stessa logica che è sottesa al reddito di cittadinanza o comunque a quella tendenza – il presidente del Censis ne ha parlato spesse volte – che inibisce l’ardore: «Siccome ci viene promesso o garantito tutto, non desideriamo più nulla. E chi non desidera, non fa».
C’è un altro pericolo secondo De Rita: «E il nome di questo pericolo è “paura”, paura degli altri». Il nome del nuovo virus che ha iniziato a circolare è “delazione”. «Lo vedo, banalmente, quando faccio qualche passeggiata per Roma. I commercianti temono di essere denunciati da qualche zelante cliente, se qualcuno ti vede senza mascherina cambia lato della strada, le persone con cui eri solito conversare rimandano gli incontri. Una paura molto concreta è quella di essere denunciati. La paura del virus si è trasformata in paura degli altri».
Foto cantiere: pxhere.com
Foto Giuseppe De Rita: Ansa
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