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Il vero baco di Facebook è l’idea che ha di sé (e che ne abbiamo noi)

Ecco perché si straparla di un non-scandalo come il caso Cambridge Analytica e nessuno reagisce se il social network definisce "unsafe" due donne nere pro-Trump

Redazione
10/04/2018 - 2:00
Società
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Tra oggi e domani si svolgeranno di audizioni di Mark Zuckerberg davanti al Congresso degli Stati Uniti in merito al cosiddetto scandalo Cambridge Analytica. Il presidente e amministratore delegato nonché fondatore di Facebook dovrà fornire la sua versione rispetto all’accusa di aver ceduto illecitamente i dati di milioni di utenti del suo social network alla società in questione. Primo appuntamento alle ore 14.15 (in Italia 20.15) davanti alle commissioni Giustizia, Commercio, Scienze e Trasporti del Senato in seduta congiunta. La seconda testimonianza dovrà invece renderla domani alla commissione Energia e Commercio della Camera a partire dalle 10 (le nostre 16).

COSIDDETTO. Non a caso utilizziamo il termine “cosiddetto”, in riferimento a questo scandalo: come abbiamo scritto più volte, la molla che ha fatto scatenare la bufera internazionale su Facebook non è tanto l’accusa di aver ceduto i dati degli utenti a terzi, cosa che di per sé potrebbe configurare qualche illecito, forse, ma non avrebbe sicuramente suscitato tanta indignazione. Il motivo vero dello scandalo (cosiddetto) è che quei dati Cambridge Analytica li avrebbe utilizzati per progettare campagne elettorali con messaggi ritagliati su misura per i profili degli utenti coinvolti, ma lo avrebbe fatto non per un marchio commerciale o un partito politico qualunque, bensì per Trump e per la Brexit. (Finché era Obama a usare questi metodi di comunicazione mirati, in giro si leggeva solo ammirazione, ma anche questo lo abbiamo già scritto, anzi, lo ha ricordato egregiamente Daniele Bellasio su Repubblica).

«NESSUNO SAPEVA»? Fa doppiamente effetto, perciò, leggere brani di ostentata ingenuità come quello firmato su Repubblica di sabato 7 aprile da Aldo Fontanarosa per giustificare l’apertura di una istruttoria sul social network di Zuckerberg da parte dell’Antitrust italiano:

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«Ci siamo iscritti a Facebook perché andava di moda, per ridere, per cercare l’amore o gli amici del liceo, per svelare gli hobby o il tipo di lavoro. Ma nessuno di noi sapeva che Facebook avrebbe poi monitorato e catalogato ogni nostra azione per guadagnare dei soldi. Chi si è iscritto, chi ancora oggi si iscrive, riceve un’informativa sull’uso dei dati privati che il Garante di consumatori (l’Antitrust) adesso contesta con forza. L’informativa – sulla prima pagina di Facebook – sarebbe oscura e incompleta. (…) A SkyTg24, Giovanni Pirtuzzella – presidente dell’Antitrust – spiega che Facebook si presenta come un mondo, come un servizio “gratuito ora e per sempre” mentre dovrebbe chiarire che gli iscritti pagano un prezzo sotto forma di cessione dei profili privati».

Ma dai?

I FAMOSI ALGORITMI. Tutti questi grandi giornali ed esperti osservatori del mondo che cascano in massa dal pero, in realtà, nel tentativo di alimentare lo scandalo e l’indignazione verso il cinico Zuckerberg, non fanno altro che confermare la sua linea di difesa, che poi (al netto della pubblica autoflagellazione per aver consentito a Trump di farsi una campagna elettorale efficace su Facebook) è la ripetizione dell’ovvio: sono anni che il modello di Facebook è lo stesso, pubblicità in cambio di gratuità del servizio. Ancora lo stesso articolo di Fontanarosa:

«I nostri dati personali, quelli sugli acquisti, sulle gite fuori porta, i nostri “like”, i commenti sui prodotti e i politici, le foto: tutto questo dove va a finire? Il Garante spiega che l’insieme delle nostre informazioni alimenta delle “macchine di calcolo”. Sono i famosi algoritmi. Quando gli algoritmi avranno tracciato l’identikit dell’iscritto con precisione assoluta, Facebook porterà sulle sue pagine inserzioni mirate. Inserzioni costruite su misura, cioè, dei suoi interessi. (…) Le aziende – che pianificano in massa pubblicità mirata su Facebook – a volte comprano i nostri dati personali per campagne promozionali al di fuori del social network».

MA QUALE “ANTI-TRUMP”. Ora. Al netto della possibilità che ci siano state scorrettezze o reati nel passaggio di dati tra Facebook e Cambridge Analytica, ci voleva Pitruzzella per scoprire che Facebook sbarca il lunario (e che lunario) in questo modo? Certo che no, sono cose che si sanno da sempre. «È dal 2004 che Zuckerberg si scusa per violazioni della privacy e altro», scrive oggi Massimiliano Gaggi sul Corriere della Sera riprendendo la rivista Wired. Viene da sospettare allora che ci sia voluta la vittoria di Trump, ottenuta anche grazie al modello di business di Facebook, per far capire a mezzo mondo che Zuckerberg non è il messia tecnologico della democrazia globale. È un uomo d’affari. Vende qualcosa, non salva il mondo. Dovranno mettersi il cuore in pace tutti quelli che appena un anno fa lo davano ancora come il prossimo Obama, o meglio «l’anti-Donald speranza dei democratici».

DIAMOND E SILK. In tal senso, molto più interessante di questo cosiddetto scandalo è una notizia circolata nei giorni scorsi. Notizia quasi insignificante che però avrebbe meritato assai più scalpore di tutte le ovvietà “svelate” fin qui dal caso Cambridge Analytica. Perché dimostra, almeno in maniera indiretta o paradossale, quanto sia sbagliato lo sguardo equivoco con cui le aziende come Facebook sono state guardate (e con cui loro stesse si sono concepite) fino a oggi. La notizia è la penalizzazione subìta all’interno del social network da parte di “Diamond and Silk”, due opinioniste/comiche americane di colore che divertono decine di migliaia di utenti e sono diventate star di YouTube e di Facebook quando hanno deciso di abbandonare i democratici per diventare fan sfegatate di Donald Trump.

UNSAFE. A partire dallo scorso 7 settembre, spiegano le due in un post pubblicato un paio di giorni fa, è cominciata tra loro e Facebook una disputa riguardo alle presunte censure e discriminazioni operate dalla società californiana.

«Alla fine, dopo molte email, chat, telefonate, appelli, tergiversazioni, Facebook ci ha fornito un altro motivo farlocco per cui milioni di persone che hanno messo “mi piace” e/o iniziato a seguire la nostra pagina non ricevono più le nostre notifiche e perché la copertura [reach, ndr] della nostra pagina e dei nostri post e video si è ridotta di una percentuale altissima. Ecco la risposta di Facebook, giovedì 5 aprile ore 15.40: “Il Policy team è giunto alla conclusione che il vostro contenuto e il vostro marchio sono pericolosi per la comunità [unsafe for the community, ndr]”. Ebbene sì, questa è la conclusione di Facebook dopo 6 mesi, 29 giorni, 5 ore, 40 minuti e 43 secondi. Ah, e indovinate cos’altro ha detto Facebook: “Questa decisione è definitiva e non è in alcun modo appellabile” (Nota: questo è quanto ci ha scritto letteralmente Facebook via email)».

DOMANDE. Che cosa ci fosse di “unsafe” nelle filippiche trumpiane di Diamond e Silk, a tutt’oggi non è stato chiarito. E adesso le due hanno iniziato a parlare ai media conservatori accusando Facebook di discriminazione, censura delle idee, perfino razzismo. «Quando ci siamo iscritte a Facebook – si sono lamentate con Fox News – non ci hanno detto che la piattaforma accettava solo chi ha idee liberal». Non ci interessa qui difendere lo show né sostenere le loro accuse. Tuttavia le domande che Diamond e Silk pongono a Zuckerberg mettono a nudo perfettamente l’equivoco di cui sopra. Eccole:

«1. Che cosa c’è di pericoloso i due donne nere che sostengono il presidente Trump?
2. La nostra pagina Facebook è stata creata nel dicembre 2014, quando esattamente il contenuto e il marchio sono diventati pericolosi per la comunità?
3. Quando dici “comunità” ti riferisci ai milioni di persone che seguono la nostra pagina?
4. Quale contenuto della nostra pagina rappresenta una violazione?
5. Se il nostro contenuto e il nostro marchio sono così pericolosi per la comunità, perché l’opzione per promuoverli a pagamento su Facebook è ancora disponibile?
6. Infine, Facebook non ha forse violato la sua stessa politica quando ha smesso di inviare notifiche ai milioni di persone che seguivano la nostra pagina?».

Foto da Facebook

Tags: antitrustcambridge analyticafacebookMark Zuckerberg
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