Il tempo non è rondine

Di Marina Corradi
11 Marzo 2004
Fa ancora molto freddo, quasi più freddo che nell’inverno pieno,

Fa ancora molto freddo, quasi più freddo che nell’inverno pieno, ma pare l’ultimo assalto di un esercito sconfitto. Nel cielo c’è una luce più chiara – e anche, se appena viene un po’ di sole, e se stai attento, un odore diverso nell’aria. A Messa, domenica in campagna, il sacerdote ha imposto le ceneri sul capo dei fedeli. Tutti in fila nella piccola chiesa barocca, sotto alle Madonne con le guance rosa come di bambole. Noi eravamo con degli amici e un manipolo di bambini – ci guardavano tutti, mai visti lì, da anni, tanti bambini assieme.
E alla fine dunque in coda per le ceneri. «Che roba è?», chiede quella di sei anni, ma nel dubbio si mette in fila anche lei. Fila silenziosa e umile, di gente che accetta di sentirsi dire una parola oggi inconsueta: ricordati del giorno che verrà. Passi lenti, i bambini che spingono fra le gambe dei grandi. Cosa ci sarà là in fondo? Il prete è molto vecchio, seduto in carrozzella. I fedeli quasi gli si inginocchiano davanti. Tocca ai bambini. Al più piccolo, di due anni appena, il sacerdote nell’imporre quel soffio di polvere morta aggiunge, dopo il «ricordati», sorridendo «il più tardi possibile».
Lasciano fare stupiti i fratelli più grandi, tornano ai banchi trattenendo il riso, come per un gioco. «Ma cosa vuol dire?». Quello che è stato detto, semplicemente: ricordati che sei polvere, e che in polvere ritornerai. Certo, a sei anni allargano gli occhi pieni di stelle, spalancati di sbalordimento. Polvere? Noi? Ma se siamo, non ci vedete, così vivi, se siamo la vita stessa, e come la vita non possiamo star fermi, e per questo appena fuori di chiesa riprendiamo a correre e inseguirci – vengono in mente le rondini, al tramonto, e il loro giostrare ebbro attorno ai campanili.
Già, corrono esattamente come, settant’anni fa, queste vecchie donne curve, che lentamente s’avviano verso casa, a mezzogiorno. Non crederebbero mai, i nostri figli, che queste donne erano tali e quali a loro, un giorno, sotto a questo sole, davanti a questa stessa chiesa, e come loro soffrivano a stare ferme nei banchi, e appena finita la Messa si proiettavano fuori in questa stessa loro allegria prima costretta, e ora finalmente slegata.
Il tempo, con queste vecchie donne, ha già compiuto buona parte del suo lavoro, ha segnato le facce, appesantito le membra, di modo che ora tutto è fatica, e ogni piccola cosa è ostacolo – insidioso il gradino che una volta si saltava per gioco, da aggirare, adesso, reggendosi forte sul bastone. Ed è solo l’inizio, sale ancora più ripido il cammino – e tutto questo sembra a noi così angoscioso, che cerchiamo di non vedere, di non pensare. Il tempo ci rode come un tarlo. E tuttavia, sta scolpita per chi vuol leggere sul portale di una chiesa di Assisi questa parola: «Il tempo che passa, è Dio che viene». Non verso il nulla – non in un giostrare di rondini impazzite.

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