Il suicidio assistito di Mario: chi mai l’ha autorizzato, i giornali?
“Suicidio assistito in Italia, primo storico sì: ad Ancona via libera per Mario, tetraplegico da 10 anni” (Corriere), “Mario potrà morire, via libera dal Comitato etico al primo suicidio assistito in Italia” (Repubblica), “Sì al suicidio assistito, svolta storica in Italia. ‘Sollievo, sarò il primo’” (La Stampa). Sono solo alcuni titoli di apertura dei giornali di oggi sul caso di “Mario”: si firma così il 43enne tetraplegico che, affiancato dall’Associazione Coscioni in piena raccolta firme per il referendum sull’eutanasia legale, aveva scritto una lettera aperta al premier Draghi e al ministro Speranza rivendicando il diritto a morire «con dignità» e a ricevere dall’Asl il farmaco letale. Pubblicata dalla Stampa il 10 agosto, Speranza aveva risposto il giorno dopo giurando sostegno e sollecitando le Asl ad allinearsi alla ormai famigerata sentenza della Corte Costituzionale sul caso Cappato-Dj Fabo. Oggi, scrive il Corriere, «il Comitato etico della sua azienda sanitaria di riferimento — la Asur Marche — ha deciso che sì, nel suo caso ci sono le condizioni per accedere al farmaco letale», «Mario adesso potrà scegliere quando morire e, soprattutto, potrà farlo a casa sua, accanto a sua madre e alle persone più care». Pubblichiamo il commento del Centro Studi Rosario Livatino.
“Suicidio assistito, primo via libera ad un malato italiano”, così titolano le testate che si occupano della vicenda di “Mario”, dopo il parere rilasciato dal Comitato etico regionale delle Marche. Ma è realmente così?
La versione integrale del parere non autorizza questa conclusione, intanto perché, nella confusione normativa attuale, se un qualsiasi Comitato etico avesse autorizzato un suicidio assistito avrebbe violato la legge, poiché sarebbe andato oltre le competenze che le varie disposizioni gli riconoscono. E poi perché, chiamato dal Tribunale di Ancona a verificare la sussistenza nel caso specifico delle condizioni previste dalla Corte costituzionale con la c.d. sentenza Cappato, a proposito del requisito della sofferenza intollerabile il Comitato parla di «elemento soggettivo di difficile interpretazione», di difficoltà nel «rilevare lo stato di non ulteriore sopportabilità di una sofferenza psichica», e di «indisponibilità del soggetto ad accedere ad una terapia antidolorifica integrativa».
Mentre quest’ultimo aspetto si pone in contrasto col requisito della Corte cost., relativo al carattere pregiudiziale della pratica della terapia del dolore rispetto a qualsiasi trattamento di fine vita, la sofferenza intollerabile è qualificata e ancorata a un dato psicologico e soggettivo.
Confermato pertanto che il Comitato etico non ha autorizzato alcun suicidio assistito, resta lo sconcerto – sulla base della lettura del parere – della percezione di uno sforzo comune teso a togliere la vita a un grave disabile: la cui sofferenza di ordine psicologico merita aiuto e affiancamento, non l’individuazione della sostanza più idonea a ucciderlo.
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