Il sindacato dei veterinari: «Sperimentazioni necessarie anche per curare gli animali»
«Non capisco la battaglia che la Lav conduce contro gli allevamenti di animali per le sperimentazioni farmaceutiche. Da veterinario tutti i giorni ho bisogno di strumenti per curare gli animali e non posso credere che la Lav non voglia più questi strumenti e che si curino gli animali»: Angelo Troi, veterinario e segretario del Sindacato veterinari liberi professionisti (Sivelp), a tempi.it spiega perché anche dal punto di vista di un medico degli animali è importante che i farmaci siano testati. E soprattutto perché – mentre in Commissione politiche comunitarie al Senato si discute se accogliere la norma che vieta gli allevamenti animali destinati alle sperimentazioni scientifiche – è importante che la ricerca continui anche nel nostro paese.
Dottor Troi quali sarebbero, dal punto di vista di un veterinario, le conseguenze?
Anzitutto questa: io sono un medico veterinario e quindi uso dei farmaci per le cure. Se questi farmaci non fossero prima sperimentati su animali vorrebbe dire che sarei io a sperimentarli e che i miei “pazienti” diverrebbero delle cavie esse stesse. Io non penso che con il divieto di allevamenti per le sperimentazioni scientifiche ci sarà lo stop della ricerca scientifica. Semplicemente la ricerca verrebbe trasferita altrove. Allora bisogna chiedersi se l’Italia vuole mantenere una posizione strategica in questo campo, controllando anche il benessere animale, o se vuole solo trasferire altrove i test, magari in Paesi dove i controlli per la tutela degli animali non sono previsti per nulla. Vorrei inoltre aggiungere un particolare che mi pare sfugga nel dibattito in corso.
Quale?
In l’Italia la vivisezione è vietata da anni ed è diversa dalla sperimentazione. Quindi è proprio scorretto parlare di vivisezione, che indica l’“aprire” degli animali con atti di crudeltà per avere valutazioni scientifiche. La vivisezione veniva fatta anni fa, agli albori della ricerca scientifica, anche per scoprire come funzionano i muscoli. Una pratica terribile che è stata completamente superata nella ricerca di oggi. Nel momento in cui si sperimenta un farmaco sugli animali, infatti, esso ha già superato delle prove a livello molecolare e cellulare. Sperimentare costa, l’azienda lo fa nel modo più razionale possibile, perciò ha l’interesse a provare anzitutto sulle colture cellulari prima di arrivare ad organismi più grandi. Purtoppo non è possibile per il momento fermarsi ad organismi più piccoli di quelli animali. Ma bisogna anche aggiungere che la ricerca ha avuto effetti positivi per gli animali: infatti la maggior parte dei farmaci che vengono prescritti dai veterinari sono gli stessi usati per gli uomini e sono scaturiti proprio dalla ricerca farmacologica che aveva come obiettivo la cura per gli umani.
Secondo il ministero della Salute, nel 2009 il 95 delle sperimentazioni animali sono avvenute su topi e ratti, mentre nel restante 5 per cento sono compresi 800 cani. È vero che oggi per norma è obbligatorio che alcuni farmaci siano testati comunque su animali diversi e più grandi dei topi? Non c’è alcun modo per evitare il coinvolgimento di animali da compagnia?
Quando si parla di sperimentazione sugli animali, lo si fa riguardo ai farmaci, e non si dice che riguarda anche le protesi. Perché, ad esempio, si usano le scimmie per provare le valvole cardiache, e i maiali per le tecniche di interventi chirurgici. Certamente le tecniche possono essere apprese in modo diverso, ma è vero che gli effetti (e questo vale anche per quelli dei farmaci) devono per forza essere testati su organismi più complessi, grandi, sicuri dei topi. Non c’è da parte delle azienda farmaceutica o degli scienziati interesse a “giocare” con la vita degli animali, e visti gli alti costi necessari si fanno dei test mirati, a numeri ridottissimi, e solo limitati all’indispensabile.
I paletti previsti oggi per legge per il benessere degli animali usati nelle sperimentazioni in Italia sono dal suo punto di vista sufficienti? C’è una cura dell’animale?
È previsto che nelle sperimentazioni, come negli allevamenti stabulari (per gli animali cioè usati nella ricerca scientifica) è obbligatoria la presenza di un veterinario, quando ad esempio nei canili non è invece indispensabile. I colleghi che ho conosciuto e che si occupano di sperimentazione mi riferiscono che delle garanzie ci sono. Io non la concepisco proprio l’idea di un veterinario o di uno scienziato che si metta a fare violenza gratuita sugli animali. Semmai lascerei aperta una domanda sulla sperimentazione per i cosmetici: in quel caso è proprio necessario? Non credo, e questa sperimentazione che per altro rappresenta la maggior parte della casistica.
Esistono metodi alternativi alla sperimentazione su animali. Lei cosa ne pensa?
Non ho conoscenza di metodi alternativi che diano al 100 per cento le risposte dei metodi tradizionali. Lo possono fare solo in fasi: ci può essere un momento della ricerca che può essere eseguita perfettamente solo a livello cellulare. Ma dev’essere chiaro che chi usa una molecola nuova per la prima volta non sa che effetti ha su un organismo.
Michela Kuan (Lav) è intervenuta nella polemica in corso sul talidomide. Secondo Kuan «Il caso talidomide ha confermato, purtroppo a posteriori, un insegnamento già noto. È assolutamente inutile saggiare la tetragenicità di una sostanza sugli animali». Lei cosa ne pensa?
Ogni organismo – è la regola generale – può dare delle risposte diverse, che nei test precendenti non erano state registrate. Se io, ad esempio, provo l’aspirina prima su un gatto e poi su un cane, non è detto che sul cane avrà il medesimo effetto. La prova sull’animale perché viene allora fatta? Per avere risposte maggiori rispetto a quanto osservato in vitro. Pur non essendoci una stessa risposta, è necessario arrivare progressivamente, in un percorso in crescendo, ad una verità del farmaco il più fedele possibile. Quello della ricerca scientifica è un percorso di conoscenza a tappe. Si parte dall’idea, poi c’è la prova sulle cellule, poi l’utilizzo della molecola chimica in organi separati, la prova su animali “semplici” e poi quella su più specie, come previsto dalla normativa in vigore. Non è un percorso “on off”: non è corretto dire che siccome non ha funzionato sul ratto non ha funzionato in toto la ricerca. E soprattutto non va dimenticato che proprio testando dei farmaci, si sono trovati quelli che servono per curare gli animali. Mi chiedo perché la Lav continui questa battaglia: non posso credere che non voglia curare gli animali.
1 commento
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!