Good Bye, Lenin!
Il samizdat slovacco che parlò di Cl negli anni Ottanta
Fu padre Vlado Jukl a proporre, all’inizio del 1982, agli amici della comunità Fatima di arricchire l’editoria clandestina religiosa slovacca con un nuovo testo che avrebbe contribuito «all’approfondimento della fede e delle espressioni umane e civili che ne derivano», e a rafforzare il legame tra i credenti oppressi dall’ateismo del regime comunista.
In sé non era un’idea del tutto nuova: dopo l’inizio della «normalizzazione» che dal ’68-69 aveva riportato la federazione ceca e slovacca nell’orbita sovietica, in Slovacchia erano già comparse alcune riviste samizdat cattoliche. Tuttavia, nonostante la qualità dei contributi, avevano una tiratura assai modesta – una ventina di copie, – e una diffusione altrettanto limitata. Mancava insomma un samizdat «nazionale» che facesse anche da volano per rilanciare l’editoria clandestina, stimolando la produzione non solo di testi religiosi ma anche in grado di interagire «cattolicamente» con tutti gli ambiti culturali. Si ricalcava in sostanza il modello del mensile cattolico ceco Informace o církvi, che usciva samizdat dal 1980.
Cresce la diffusione
I primi ad appoggiare l’iniziativa furono i nomi storici delle comunità religiose clandestine: lo stesso padre Jukl e l’amico di sempre dottor Silvo Krčméry, alcuni sacerdoti ordinati clandestinamente, l’«avvocato del dissenso» Ján Čarnogurský e Martin Lauk, a casa del quale si riuniva la redazione e dove venivano preparate le matrici per il ciclostile.
Inizialmente la stampa era piuttosto rudimentale, una ventina di pagine ciclostilate in formato A4 con una tiratura però già di 500 copie, salite a 750 nell’84 fino a raddoppiare nell’89. Successivamente da amici protestanti olandesi arrivò una moderna stampatrice offset rimontata pezzo per pezzo nel garage di Murdza.
Dall’82 all’89 uscirono 34 numeri bimestrali con una tiratura complessiva di oltre 25.000 copie e oltre mezzo milione di pagine, stampate, assemblate e diffuse in tutta la Slovacchia.
Non essere autoreferenziali
Nel giugno scorso a Bratislava è stata esposta una mostra dedicata proprio a NaS presso il centro giovanile cattolico Quo Vadis, in collaborazione con il Museo delle vittime del comunismo di Košice, l’Istituto per la Memoria nazionale e l’associazione samizdat.sk.
Náboženstvo a súčasnosť voleva aiutare nel suo piccolo la Chiesa slovacca a non cadere nel pericolo dell’autoreferenzialità e ad aprirsi alle problematiche del mondo intero. Il rischio infatti era quello di chiudersi in se stessi e fare così il gioco del regime, che non gradiva una Chiesa in dialogo con la società; al contrario, per i fondatori di NaS era importante uno sguardo pienamente cattolico, universale.
Già scorrendo l’indice del primo numero troviamo un testo di Bonhöffer, la dichiarazione dell’Onu contro l’intolleranza religiosa, un articolo sulla storia della presenza cristiana in Cina, vengono presentati alcuni casi di processi a credenti e la lettera del vescovo Korec (che aveva appoggiato l’uscita della rivista) in cui denuncia una perquisizione domiciliare illegale.
Cosa è Comunione e Liberazione
Ma sfogliando le annate di NaS, l’articolo che più ci ha incuriosito è quello uscito sul numero 2/1986 e dedicato al movimento ecclesiale di Comunione e Liberazione, nato – si legge nel pezzo non firmato – «nel Nord Italia come reazione al processo di allontanamento della religione dalla vita quotidiana, soprattutto tra i giovani, in risposta all’indifferenza e al vuoto spirituale dei credenti e dei non credenti».
Al lettore slovacco viene presentato l’obiettivo che si pone Cl: «Portare Cristo nella vita di tutti i giorni, “cristianizzare” la vita in tutti i suoi aspetti: studio, lavoro, gioco e svago; portare lo spirito di Cristo nell’arte, nello sport, cioè in tutti gli ambiti culturali dell’esistenza. Il nome stesso del movimento suggerisce che tutto questo va attuato in una comunità, nella comunione, ossia in mezzo agli amici e in unione con la Chiesa».
Portare il sigillo di Cristo
In un sistema totalitario «liberazione» era un termine rischioso da pronunciare. Ma per sgombrare il campo da equivoci, l’autore dell’articolo spiega che questa parola «indica la liberazione dal peccato, che possiamo ottenere con l’obbedienza a Cristo, cioè con l’obbedienza alla Verità, nella fede e nell’amore (…). L’appartenenza, la giovialità e l’atmosfera amichevole, che non provengono solo dalla tipica cordialità italiana ma che si basano sulla fiducia tra i fedeli, tra i figli dell’unico Padre, è ciò che attrae questi giovani nel movimento (…). La sua attività non si limita a gruppi elitari e chiusi, ma cerca di portare il sigillo di Cristo nell’intera vita umana, sia privata che pubblica».
«La vera posta in gioco è il rinnovamento della comunità, la riscoperta dei valori cristiani, quelli che spesso ritroviamo solo nel subconscio e che preferiamo dimenticare a causa del nostro egoismo, della paura e dell’accondiscendenza. Il Movimento di Cl ristabilisce così una linea chiara in una società in cui regnano l’errore e la confusione». Infine viene ricordata l’importanza della caritativa «per i laici e per i sacerdoti», «le visite ai malati, agli anziani e ai dimenticati, l’aiuto alle madri abbandonate e ai disoccupati», così come l’importanza della preghiera personale e comunitaria e la stretta comunione con il capo della Chiesa cattolica, il Papa».
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