
Il quid dell’educazione

Non ho letto il libro di papa Francesco intitolato Ritorniamo a sognare col sottotitolo presuntuosamente profetico “La strada verso un futuro migliore” (Piemme). Mi basta il titolo per giustificare un intervento da rincitrullito sul sogno della mia autonomia scolastica.
Per non cedere alle insistenze dei genitori e al giovanile entusiasmo di quattro neolaureati che volevano trascinarmi nell’avventura della scuola, li sfottevo proponendo come condizione l’immagine di una mia “scuola media”: tre materie obbligatorie (Educazione Fisica, Educazione Artistica, Educazione Musicale) e due attitudini fondamentali: padronanza della lingua italiana e conoscenza delle tabelline. Spentasi l’eco della risatina per la spiritosa battuta, mi sono permesso di segnalare la mia meraviglia per la loro insensibilità verso la “magia” della parola “educazione”. Spiegai che la parola “educazione” indica un orizzonte sconfinato agli interessi di ogni conoscenza perché consiste nell’attivare un desiderio di capacità che rende possibile il pieno godimento per la bellezza del suono, di un movimento, di una figura.
Accadde che i quattro mi guardarono non più spavaldi, ma come stimolati dall’occasione di tentare un’avventura umanamente appagante. Nel tempo (in realtà, nei decenni!) avremmo tutti capito meglio quello che stavo dicendo. Educare vuol dire che hai dentro qualcosa che ti permette di partire anche da una sola “materia” per condurre una piccolo alla scoperta della realtà (del resto, come fai a fare musica senza matematica? O ginnastica senza anatomia? O disegno senza tecnica?).
I cristiani hanno la “grazia” di avere questo “quid”. Non è goffa supponenza. È l’eredità di una Storia Sacra, vecchia come il mondo, che ti rende appartenente a un popolo quando ti battezzano nella Chiesa e diventa esperienza vitale quando ti viene regalata la coscienza di essere amati dal Figlio di Dio. Questo “quid” è l’essenza dell’essere cristiano e, perciò, come diceva don Luigi Giussani, «se c’è, si vede». Dovrei dire che si “dovrebbe” vedere… ma, tranquilli, io me lo domando ogni mattina.
Foto Ansa
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