Il problema dei cattolici non è la divisione, ma la confusione

Di Emanuele Boffi
11 Gennaio 2020
Non è una questione di "toni", ma di ciò che andrebbe riconosciuto. Ed è esattamente un problema sia di ragione sia di fede

Ieri sul Foglio è stata pubblicata una lettera di Walter Gatti sulle divisioni tra i cattolici. Poiché l’autore cita anche Tempi, qui si cerca di fare qualche precisazione. Data per assolta la lettura di Gatti – ché altrimenti questo articolo diventa chilometrico –, sono almeno tre le cose da chiarire.

Uno: c’è poco da scandalizzarsi

Che fra i cattolici esistano diverse sensibilità, non mi pare una notizia delle ultime ore; direi, in più, che c’è poco da scandalizzarsi. Non è che “prima” di dibattesse con i guanti bianchi e “ora” con la scimitarra. Mi pare che si dibattesse con la scimitarra anche prima. Non è che il Papa lo attacchino solo ora (o abbiamo dimenticato cosa si diceva, e si dice ancora oggi, negli ambienti del cattolicesimo di sinistra a proposito di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI?). Insomma, se stiamo ai “toni” della discussione, questi sono stati sempre accesi. Poi, se uno scrive che il Papa è l’anticristo (è l’esempio che fa Gatti), per me è uno fuori di testa, punto e chiuso. Ma coi balordi è persino inutile provare a dialogare (così come è inutile dar retta a ciò che si legge su certi social network, che è la spazzatura della comunicazione. Pretendere che la spazzatura olezzi di mughetto, mi pare un po’ troppo).

Due: “contenuti” non negoziabili

Se, invece, come dice Gatti, andiamo ai contenuti, bè, dipende dai contenuti. Esistono dei contenuti “non negoziabili”; e questo non perché lo dice Tempi, ma perché, se tolti, evitati o annacquati vengono meno quelle verità di fede per cui un cattolico non è più un cattolico. Su eutanasia o aborto, ma è solo un esempio, Tempi la penserà sempre in un certo modo, anche se, passatemi l’iperbole, dal Papa in giù si iniziasse a dire qualcosa di diverso da quel che si dice da 2000 anni. Al contrario, su Hong Kong, pur rispettando i tentativi diplomatici vaticani che si è certi essere mossi dalle più lodevoli finalità, noi non possiamo fare a meno di esprimere perplessità. Quando lo facciamo – almeno qui a Tempi – cerchiamo sempre di farlo in modo argomentato, razionale, non “manicheo” e senza scomuniche verso chi non la pensa come noi. Poi, possiamo sbagliare pure noi, ma non come intenzione generale e linea editoriale.

Tre: fede e ragione

E qui arriviamo al cuore della lettera di Gatti, che è tutta nell’ultima frase dove si tirano in ballo due parole importanti: “fede” e “ragione”. Non manca solo la seconda (come scrive Gatti), ma pure la prima perché l’una non può fare a meno dell’altra. Infatti il punto è esattamente il questo: il problema non è che i cattolici litighino tra di loro, non siano d’accordo, si dividano tra salviniani e anti-salviniani (come prima tra berlusconiani e anti-berlusconiani), il problema è che non riconoscono che c’è qualcosa, qualcuno e un luogo che li tiene insieme. Come scritto proprio su Tempi da Giancarlo Cesana, «i cattolici più che divisi sono confusi e come tali non sanno bene da che parte stanno, magari proprio militando in una parte». Quindi il tema vero è la confusione, non la divisione. Se i cattolici fossero consapevoli di ciò che li tiene insieme, forse non sarebbero meno litigiosi, ma certamente sarebbero meno divisi.

Foto Ansa

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