Il paradosso del “falco” Ariel Sharon, l’unico israeliano che avrebbe potuto dare uno stato ai palestinesi
Secondo Benny Morris, il più importante storico delle origini dello Stato israeliano, se Ariel Sharon non fosse stato colpito da un ictus otto anni fa e non fosse deceduto pochi giorni fa, oggi lo Stato palestinese sarebbe realtà e la separazione fra i due popoli sarebbe cosa fatta. È verosimile.
Dopo avere dedicato cinquant’anni di carriera politica e militare al sogno del Grande Israele e alla colonizzazione dei Territori occupati, Sharon si era reso conto che i fattori demografici e internazionali imponevano al paese di darsi confini definitivi e contenenti il minor numero possibile di palestinesi. Perseguì la nuova politica in modo unilaterale, spiazzando la leadership palestinese con l’evacuazione non concordata di Gaza e mettendosi contro la destra israeliana e i coloni che lo avevano sostenuto. Affermava che i palestinesi non erano in grado di far rispettare gli accordi e che la sua esperienza militare gli consentiva di comprendere quali assetti territoriali erano difendibili e quali no.
La maggioranza degli israeliani accettava queste spiegazioni, e se la malattia non lo avesse fermato avrebbe dato fiducia a Kadima, la sua sfortunata creatura partitica. La politica di Sharon era il corrispettivo della sua visione militare: per prevalere sul nemico bisogna conservare l’iniziativa. Lo Stato palestinese doveva poter esistere, ma in condizioni tali da non rappresentare una minaccia per Israele.
L’immobilismo dei governi succedutisi dopo il 2006, compreso l’attuale di Netanyahu, si è avvantaggiato delle turbolenze del mondo arabo senza pensare al futuro. I nodi verranno al pettine quando gli equilibri del mondo arabo si riassesteranno e Washington concluderà il “grand bargain” con l’Iran.
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