Perché in un’informazione abituata a indignarsi per il pinguino maltrattato o l’evasione di uno scontrino non s’è visto alcun commento sull’infamia di ricettare le carte rubate in casa di un Papa? Perché tanta insolenza con i deboli, la Chiesa, la famiglia che regge in mezzo al carnevale di una società in decadenza, e nessuna autocritica sull’illegalità manettara e il disprezzo del buon senso che hanno reso l’Italia fradicia di lagna e paralizzata in guerre intestine? Perché 550 bravi cattolici si scandalizzano per la libertà di pensiero e di coscienza espressa nel privato confessionale di Pietro e non si dolgono invece della disunione fomentata dai ladri e dai gelosi dell’unità del popolo cristiano, quantunque nella pluralità di carismi e accenti? Perché un governo che sa perfettamente che in Italia non c’è persona o impresa che non sia ricattabile dalla discrezionalità della legge o dal pregiudizio di un pm “agganciato” al sistema mediatico, non dice niente, non agisce, anzi subisce questa violenza che in un ventennio ha reso i tribunali e i giornali organi di una sharia più che di uno Stato di diritto? Perché lo spazio pubblico è impoverito dal consenso militarizzato alla casta sovranazionale di chi ci impone sacrifici economici e basta, il resto è solo una grande campagna di diffamazione contro ogni cosa che sia semplicemente viva e autonoma dal pensiero unico e moralistico che fa perdere ogni speranza?
Ha risposto il Papa, a tutto ciò, parlando della cultura di cui sono intrisi i nostri occhi e orecchie, quella imponente lingua di legno organizzata intorno a noi, con la quale non si può negoziare nulla se non la guerra a oltranza. Poiché, dice Benedetto, la cultura che oggi domina è «una cultura che non cerca il bene, il cui moralismo è una maschera per, in realtà, confondere, creare confusione. E contro questa cultura, in cui la menzogna si presenta nella veste della verità e dell’informazione, contro questa cultura che cerca solo il benessere materiale e nega Dio, diciamo “no”».