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Il mistero dei disertori che ritornano fra le braccia del regime di Pyongyang. «La Corea del Sud è un incubo»

«Passare dallo Stato più repressivo del mondo a quello più capitalista» non è uno scherzo. Intervista all'esperto Christopher Green su un fenomeno preoccupante

Leone Grotti
08/10/2013 - 3:10
Esteri
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C’è Pak Jin-gun, 49 anni, scappato dalla Corea del Nord  a ottobre del 2011 e «riabbracciato teneramente dalla patria» due anni dopo, quando ha deciso di tornare sotto il regime comunista. C’è anche Jang Kwang-chol, 33 anni, scappato nel marzo 2012 e tornato sempre a ottobre di quest’anno dopo aver passato «giorni da incubo» in Corea del Sud. Può sembrare un controsenso, ma questi due casi non sono isolati e sono tanti i nordcoreani che dopo essere scappati da uno dei regimi più oppressivi del mondo, ed aver vissuto in uno dei paesi più capitalisti del mondo, scelgono di tornare indietro. «Questo fenomeno esiste, è più grande di quanto si pensi e ha diverse ragioni», spiega a tempi.it Christopher Green, analista di DailyNK, organo di informazione sudcoreano dove lavorano diversi rifugiati del Nord.

Non è una realtà che esiste solo nella propaganda del regime comunista?
No, non sono così pochi quelli che tornano. Prima di tutto perché non riescono a convivere bene con la società della Corea del Sud. Inoltre, la propaganda del regime, che esiste, sbandiera ai quattro venti l’incredibile qualità di vita di cui una persona può godere tornando nella madrepatria. C’è poi il desiderio, sentito fortemente sia dai coreani del Nord che da quelli del Sud, di vivere nella propria terra d’origine.

Il regime di Kim Jong-un non minaccia le famiglie di chi scappa?
Questo è il quarto motivo. I servizi di sicurezza nordcoreani hanno una strategia precisa: spingono i loro cittadini a tornare indietro minacciando le loro famiglie. Ogni caso di ritorno in patria, in ultima analisi, è causato da un mix di tutte queste ragioni.

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Pak Jin-gun ha dichiarato: «Non è vero che chi scappa e ritorna viene punito». Possiamo credergli?
Non possiamo esserne certi. Di sicuro la vita che conducono una volta tornati indietro non è così bella come dicono durante le conferenze stampa organizzate dal regime e diffuse in televisione. Ma è possibile che non vengano trattati così male.

Perché?
Fa tutto parte di una strategia governativa per far tornare più persone possibile.

Quanto è grande questo fenomeno? Quante persone scappano e poi decidono di tornare?
Circa 1.500 persone all’anno fuggono dalla Corea del Nord. Il numero si è abbassato rispetto a un picco di 2 mila degli anni scorsi. Ma il numero di quelli che ci ripensano, per quanto piccolo, è più alto di quanto non si pensi: sarà uno o due gruppetti all’anno.

Perché la Corea del Nord li fa rientrare? Il governo non teme che siano pericolosi traditori?
Tempo fa la linea del governo era dipingere la Corea del Sud come un satellite militaristico e repressivo degli Stati Uniti. Ora invece, la propaganda mira a far credere che in Corea del Sud si vive in modo insoddisfacente e in condizioni di povertà ai livelli più infimi della società. Per raggiungere questo obiettivo, hanno bisogno di persone che tornino indietro da Seul e che testimonino quanto stavano male.

Questo fenomeno è causato anche da una sbagliata politica sudcoreana?
I sudcoreani vedono quelli del Nord come persone educate male e difficili da trattare. Questo in alcuni casi è vero, in altri è falso. Per questo molti fanno fatica a trovare un lavoro o a inserirsi nella società. Ma a parte questo, c’è una cosa da ricordare: non è forse inevitabile che passare dallo Stato più repressivo del mondo al più capitalista dell’Asia orientale sia stridente, complesso, spaventoso e stressante? Per la maggior parte dei nordcoreani sopra i 35 anni questo è il problema principale.

@LeoneGrotti

Tags: capitalismocomunismocorea del nordcorea del suddailynkdisertori corea del nordkim jong unpyongyang
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