
Il Green Deal potrebbe diventare un verdognolo salasso

«Il fatto che l’Europa abbia deciso di andare in volata sul verde gratifica l’opinione pubblica, ma d’altra parte crea problemi di dislivello competitivo che si vanno ad aggiungere a quelli già esistenti. Occorre favorire la sostenibilità di questa strategia, creando accordi vincolanti che inducano atteggiamenti virtuosi, facendo pesare la dimensione sistemica del nostro mercato unico. La carbon tax è un tentativo, temo insufficiente. Occorre evitare che le imprese europee si trovino a fronteggiare un’ulteriore asimmetria nella concorrenza con la Cina, che il Green Deal rischia, involontariamente, di favorire».
Dice così in un’intervista a Tempi (che troverete integrale sul mensile d’agosto) Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale.
Micro imprese italiane
Dialogando con Antonio Grizzuti, Lombardi commenta i dettagli del cosiddetto Green Deal europeo, resi noti il 14 luglio scorso dalla commissione europea presieduta da Ursula von der Leyen. Come è noto, il piano servirà a ridurre sensibilmente le emissioni di anidride carbonica entro il 2030, e a rendere l’Europa, entro il 2050, il primo continente climaticamente neutro. Con quali conseguenze? «I target fissati dalla Commissione – spiega l’economista a Tempi – sono molto ambiziosi, ma sollevano interrogativi importanti» soprattutto per quanto riguarda la “conversione industriale”, tema che toccherà le nostre imprese.
«L’Italia ha una base di micro imprese prostrate da più di un decennio di bassa crescita e, infine, dal Covid. Riconvertirsi in tempi brevi a un nuovo paradigma non sarà affatto semplice. Si aggiunge, pertanto, un ulteriore elemento di fragilità in un tessuto economico già di per sé ampiamente lacerato e sottopatrimonializzato che, ad oggi, si trova in una condizione emergenziale».
Oneri solo per l’Europa
Il punto problematico della vicenda, nota Lombardi, è che il piano europeo si muove «verticalmente anziché orizzontalmente», cioè declina «anche aspetti minuziosi senza tenere presente il quadro d’insieme. Per conseguire l’obiettivo dell’azzeramento delle emissioni di Co2 entro il 2050 l’Unione Europea deve certamente fare la sua parte, ma questo obiettivo si può raggiungere solo con lo sforzo di tutti. Tuttavia, altre economie importanti – Stati Uniti, Russia e Cina – sono molto più indietro».
Qual è il punto? «Che l’Europa rischia di accollarsi oneri, senza che peraltro questi risultino determinanti nel conseguire il risultato finale che tutti auspichiamo».
Chi paga il conto
«Il pericolo – nota Lombardi – è che cittadini e, quindi, i lavoratori si trovino a pagare il conto di questa riconversione industriale, senza aver contribuito a una riduzione netta delle emissioni a livello globale perché altri paesi si sono comportati da free rider rispetto ai comportamenti virtuosi messi in atto a casa nostra».
Foto Ansa
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