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Il governo Monti vara il decreto liberalizzazioni. Tutti d’accordo? Mica tanto

Per Giorgio Napolitano il decreto è «corposo e incisivo», per il premier Mario Monti potrebbe portare a un aumento di 10 punti di Pil e abbatterà il «costo della vita». Il Cdm durato otto ore non è stato però così unanime come il premier vorrebbe far credere. Tante le divergenze e alla fine il testo è stato annacquato

Redazione
23/01/2012 - 9:54
Interni
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Monti: «Varato il decreto sulle liberalizzazioni»
Dopo otto lunghe ore chiuso in Cdm, il governo di Mario Monti vara il decreto per la concorrenza e le liberalizzazioni. Una riunione non facile, raccontano diverse fonti, in cui non sono mancate discussioni e anche qualche piccola tensione. E nonostante il presidente del Consiglio neghi “inciampi”, fonti di governo sostengono che un dibattito c’è stato. E secondo qualcuno anche un leggero “annacquamento” del testo. Il premier, però, si dice soddisfatto. Rimarca l’importanza delle riforme: cita stime di Ocse e Bankitalia per sottolineare come, con concorrenza e flessibilità simile a quella degli altri Paesi europei, ci possa essere «un aumento del 10%» del Pil. Commentando il varo del pacchetto concorrenza e infrastrutture (quello sulla semplificazione sarà adottato la prossima settimana), nella conferenza stampa seguita al Cdm, Monti parla di «riforme strutturali per la crescita», necessarie per superare i tre grandi vincoli che finora hanno frenato la crescita del Paese: insufficiente concorrenza, inadeguatezza infrastrutturale, complessità nelle procedure.

Concentra l’attenzione sui vantaggi che ne trarranno i giovani, ma ricorda anche che a giovarne saranno tutti i cittadini che saranno liberati da «tasse occulte» e agevolati da una «moderazione del costo della vita». Ringrazia i «colleghi» ministri ed in particolare Antonio Catricalà («ogni governo dovrebbe avere almeno una ex autorità della concorrenza» nei suoi ranghi), ma soprattutto i partiti che oltre ad appoggiare il governo sono stati «utili» per capire le «preoccupazioni» delle diverse parti sociali. Ricorda che il governo non è a caccia di consensi perché non deve affrontare le elezioni. Ma allo stesso tempo ritiene che l’opinione pubblica sia dalla parte delle riforme e contro lo “status quo”. Nessun timore per le reazioni di Silvio Berlusconi, che parla di «cura senza frutti» e prevede di essere «richiamato» presto al governo: «Ci parlo abbastanza spesso e mi dà segnali incoraggianti e anche consiglio», minimizza il premier. Con il Parlamento, però, usa il guanto di velluto. Il Parlamento è «sovrano» e il governo si prenderà lo «spazio» per «illustrare e spiegare» i provvedimenti alle Camere e se si dovesse accorgere che «manca qualcosa» ci sarà l’occasione per rimediare. Prende a modello l’esperienza di conversione del “Salva-Italia” (sul quale, però, mise la fiducia), giudicandola molto incoraggiante.

Monti appare ottimista. Anche se qualche nuvolone nero sembra comparire all’orizzonte. Come dimostrano le modifiche inserite nel milleproroghe in commissione sul contributo degli autonomi, approvate nonostante il parere contrario del ministro Elsa Fornero. Modifica che, pur non impattando sulla sostanza della riforma delle pensioni, preoccupa Monti che ci vede un antipasto di quello che può avvenire in Aula sulle altre riforme. Anche perché di temi scottanti ce ne sono tanti. La sospensione del cosiddetto beauty contest sulle frequenze non è piaciuta a Mediaset che ha annunciato possibili ricorsi. Nonostante qualcuno legga nel fatto che il governo si sia preso tre mesi per deciderne l’assegnazione, una sorta di «assicurazione sulla vita» per lo stesso esecutivo. Anche dal Pd arrivano segnali poco incoraggianti: Pier Luigi Bersani parla di provvedimento lodevole, ma chiede che 2 o 3 cose siano rafforzate. E forse proprio per frenare gli appetiti dei partiti il premier ricorda gli elogi del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che parla di intervento «corposo e incisivo».

Eppure, nello stesso governo, qualche ministro – rigorosamente a microfoni spenti – non nega un po’ di delusione perché qualcosa in più poteva essere fatto. In Cdm, riferisce chi c’era, si è discusso a lungo di alcune norme. Quelle sulle farmacie, spiega ad esempio una fonte ministeriale, «sono cambiate due o tre volte». Secondo altre fonti vi sarebbe stata anche qualche piccola tensione, generata dal fatto che diversi ministri, pur avendo competenza, non hanno ricevuto il testo definitivo del provvedimento fino al Cdm. Per questo si è proceduto «articolo per articolo». E, nonostante ciò, una stesura definitiva ancora non c’è. Come dimostra il fatto che non è stato diffuso il consueto comunicato stampa finale.

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Tags: cdmdecretogovernoliberalizzazionimontipremiertesto
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