Cinquemila prigionieri politici amnistiati lunedì scorso e un comunicato che esprime la volontà di dare una soluzione pacifica ai sette anni di guerra civile. Il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika sembra deciso a stupire il mondo. Eletto lo scorso aprile in un’elezione senza avversari, era apparso come la figura di facciata scelta dai clan di generali che da sempre detengono l’essenziale del potere in Algeria. Dopo le ultime mosse può sembrare un vero riformatore, ma è solo apparenza: Bouteflika sta semplicemente facendo quello che il “pouvoir” (la lobby politico-militare da sempre ai comandi) gli chiese quando lo scelse come candidato alla presidenza: mettere la parola fine alla guerra civile e reintegrare il Fis (Fronte di salvezza islamico) nella vita politica del paese. Un copione scritto già due anni fa. Nel settembre 1997 fu il capo di Stato maggiore Mohamed Lamari a concludere una tregua col capo dell’Ais (Esercito di salvezza islamico), il braccio armato del Fis. Quell’accordo portò alla luce la spietata lotta in corso tra il clan filo-francese di Lamari e quello filo-americano dell’allora presidente Zerual. I due gruppi si diedero battaglia a colpi di massacri, scandali e rivelazioni incrociate fino alla disfatta di Zerual costretto, lo scorso settembre, ad annunciare le dimissioni. Dietro vi era la lunga mano del vecchio potere coloniale francese. Da tempo Parigi si era resa conto dell’impossibilità di sconfiggere gli islamisti soltanto con la repressione, ed esercitava pressioni sui generali come Lamari, i cosiddetti “eradicateur” favorevoli a una soluzione cruenta della crisi, ma anche fedeli alleati della Francia. In cambio dell’accettazione del piano prometteva a Lamari mano libera nella gestione delle risorse del paese. La Francia ne guadagnava l’uscita di scena della lobby filo-americana di Zerual e del suo braccio destro Mohamed Betchine, impegnato in una complessa manovra per svendere alle compagnie petrolifere Usa i giacimenti algerini. Concessa l’amnistia ai prigionieri politici del Fis, Bouteflika ha già annunciato un provvedimento inteso a garantire l’immunità a tutti i militari accusati di torture, rapimenti, esecuzioni sommarie e altri crimini. Il passo successivo sarà un referendum che chiederà ai cittadini di approvare la riconciliazione nazionale. Tutto il piano sembra essere stato concordato con il leader agli arresti domiciliari del Fis Abassi Madani. Sconfitti militarmente, ma reintegrati nel gioco politico grazie ad un accordo con i loro avversari, gli islamisti sono destinati a giocare il ruolo di un’opposizione istituzionale. Dopo 100mila morti e sette anni di atrocità anche in Algeria ha vinto la politica del Gattopardo: cambiar tutto per non cambiar nulla.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi