«Oggi la gente conosce il prezzo di tutto e non conosce il valore di nulla»: così, nel suo Il ritratto di Dorian Gray, Oscar Wilde ha sagacemente sintetizzato uno dei più attuali e concreti aspetti del mondo contemporaneo, cioè il dilagante utilitarismo che permea il pensare e l’agire dell’uomo moderno, tanto nell’epoca in cui lo scrittore anglosassone vergava le sue opere, quanto soprattutto oggi nell’era del post-capitalismo in cui contano non già l’essere e il saper fare, ma l’avere e l’apparire, specialmente come manifestazioni di una illimitata volontà individualistica.
In questo senso sembra muoversi la recentissima sentenza della Corte Costituzionale tedesca con cui il Supremo Giudice delle leggi germaniche ha esteso la disciplina del suicidio assistito, già legale per i malati terminali in virtù di una legge approvata nel 2015, anche a tutti coloro che non soltanto non si trovano in stadio terminale, ma che non sono neanche malati, sancendo così il riconoscimento – ancora una volta per via giurisprudenziale – di un (presunto) “diritto al suicidio assistito” quale espressione del «diritto al libero sviluppo della propria personalità».
Sebbene da taluni frettolosi commentatori, la suddetta pronuncia è stata salutata con grande entusiasmo tanto da definirla addirittura come “sentenza mozzafiato”, altri ben più cauti ed affidabili osservatori, invece, hanno rilevato le profonde e gravi lacerazioni al tessuto giuridico fondamentale che una simile decisione sostanzialmente introduce.
Nonostante ciò, proprio in considerazione dell’enormità della predetta sentenza, sembra sfuggito un dettaglio che non è per nulla irrilevante, cioè il fatto che la Corte tedesca ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il reato introdotto dal legislatore tedesco nel 2015 secondo cui è punito con la reclusione fino a tre anni chiunque, con l’intenzione di agevolare il suicidio altrui, professionalmente offra, procuri o medi l’occasione per suicidarsi.
In sostanza il Parlamento tedesco aveva costruito una fattispecie criminosa analoga – sebbene non identica – a quella prevista dall’articolo 580 del Codice Penale italiano; la Corte Costituzionale tedesca, ha sostanzialmente demolito questo reato, e per di più ha di fatto liberalizzato lo sfruttamento commerciale della morte assistita cancellando il suddetto divieto e consentendo ai “professionisti della morte” di offrire, procurare o mediare – anche al fine di profitto – l’occasione di suicidarsi per chi avesse una tale intenzione.
Si compie così un salto di livello nella concezione “mercatoria” dell’essere umano oggi così diffusa: dopo la fiera dell’interruzione volontaria di gravidanza, dopo l’emporio globale della procreazione artificiale, dopo il mercato dell’utero in affitto, si pongono le basi per spalancare le porte dell’industria della morte assistita.
Il semplice utilitarismo che fino ad ora era stato latente nel dibattito sul fine vita, relativamente ai costi che i sistemi sanitari potrebbero risparmiare qualora fosse legalizzata la morte assistita – sub specie eutanasia o suicidio assistito – come dimostra, tra i tanti esempi possibili, lo studio pubblicato già nel 2017 sul Canadian Medical Association Journal, alla luce del quale la legalizzazione della morte assistita consentirebbe al sistema sanitario canadese di risparmiare ben 140 milioni di dollari ogni anno, diventa ora palese ed evidente e mostra tutta la sua aggressività culturale.
Rendere la morte commerciabile, insomma, almeno in Germania, non è più qualcosa di lesivo della dignità umana, ma espressione della libertà umana.
Da qui in avanti le cose saranno del tutto diverse: un nuovo orizzonte dischiude le sue fosche tinte, un nuovo orrore anti-umano si presta ad essere dapprima normalizzato e poi “normativizzato”.
Vendere la morte, in una simile prospettiva, sarà il nuovo lucroso business che si svilupperà quanto prima in Occidente per rimpinguare le casse di quelle numerose “agenzie della morte” che ben presto sorgeranno un po’ dovunque.
La morte diventerà così uno dei molteplici prodotti sui cui si incontreranno l’offerta dell’industria tanatofera e la domanda dei libertari tanatofili, in quell’aureo e “aurifero” laissez-faire etico-giuridico che minerà dalle fondamenta, per abbatterlo, l’edificio delle più basilari garanzie acquisite in secoli di tradizione giuridica occidentale.
Il (presunto) diritto di morire, insomma, nonostante le rassicurazioni auto-illudenti dei suoi sostenitori, è già mutato, piegato e ri-forgiato dalla mentalità post-capitalistica che lo ha già trasformato in un “servizio commerciale” da offrire alle masse ancora ignare di poterlo e doverlo richiedere.
E’ il capitalismo 5.0 che non vuole più limitarsi a sfruttare le masse come le sue precedenti versioni, ma, dopo averle sfruttate in vita, intende lucrare perfino sulla loro stessa morte convincendole che vivere è qualcosa privo di senso e che la morte è l’ultimo necessario diritto, o meglio, servizio di cui hanno bisogno per essere illusoriamente libere e realmente consumatrici.
Il capital-libertarismo, di cui in buona sostanza la Corte Costituzionale tedesca si propone come serva utile, insomma, incarna con tutto il suo disumano cinismo quel paradosso già evidenziato e profetizzato da Clive Staple Lewis secondo il quale «la conquista finale dell’Uomo si è rivelata come l’abolizione dell’Uomo».
Foto Ansa