Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Harvey Weinstein ci provava, come si dice in gergo, d’accordo. Ma un problema esiste. Da almeno trent’anni il produttore faceva il produttore, viveva il suo sogno equivoco in mezzo a bellezze femminili in un certo senso cosificate o mercificate, proponeva loro uno scambio, potere contro sesso, e la cosa può essere considerata ripugnante. Ora Weinstein, una star come poche a New York e nel dorato mondo della celluloide, come si diceva una volta, in era pretecnologica, si è messo in aspettativa a tempo indefinito e poi lo hanno licenziato. Ha lasciato. Non la sostanza, credo, cioè la dinamica di prodotto distribuzione e profitto in cui è stato sovrano, proprietario, owner, ma la funzione. Non puoi essere un manager se ti beccano a lucrare affetto e sesso in cambio di promesse di spazio e di mestiere dall’alto di una posizione di influenza. È successo a Roger Ailes, ora compianto, e a Bill O’Reilly, l’uno e l’altro scintillanti nel firmamento dell’opinionismo e dell’informazione di destra, genere Fox News. Weinstein è piuttosto di sinistra, è produttore iconico, dalla Vita è bella di Benigni a Quentin Tarantino, uno che le scelte commerciali le ha spesso azzeccate, ed erano sempre cose di establishment della costa est, un liberal. Ma il New York Times non perdona.
Dunque Weinstein, che faceva il produttore secondo i crismi o canoni o standard del diritto del sofà, universalmente risaputi, oggetto di scherno e barzellette per generazioni di americani e non solo, ha dichiarato, pur senza stare lì a precisare il malfatto, che si rende conto di aver procurato sofferenza a tanta gente con un comportamento inappropriato. Ma che cosa questo davvero significhi non mi è affatto chiaro. Può essere che fosse un tipo brutale, o me la dai o scendi, come accadde di dire a un collega italiano che aveva imbarcato in Vespa una giornalista carina. Può essere che fosse un poco di buono, uno che estorceva, un gradasso, il contrario di un gentiluomo. E chissà se e fino a che punto avrà mantenuto le promesse. Può essere che abbia fatto soffrire delle donne, chi può escluderlo. Ma il fatto di averci provato, il fatto di avere corteggiato magari pesantemente le bellezze che cercano visibilità, denaro, potere nel mondo dello spettacolo e del cinema, ricerca delle più legittime, ansia perfettamente comprensibile, anche creativa se vogliamo, non basta per la condanna sociale e politicamente corretta del singolo produttore glamour, mi pare. Bisognerebbe vedere, capire, discutere, accertare le circostanze, i modi, perché poi alla fine lo scambio di potere, che è polimorfo e multisenso come la perversità dei bambini secondo Freud, in certi casi è dunque candido, solare, sta alla base di una quantità di relazioni personali, una delle quali è quel che si diceva una volta un buon matrimonio ed oggi è una story, una love story, o più semplicemente una liaison di cui un po’ si parla e si sa, un po’ no.
Non voglio fare della filosofia stupida sui rapporti tra uomini e donne, no perdite di tempo. Non tiro nemmeno in ballo il sofà dei Kennedy o il grab them by the pussy di Trump, i tempi cambiano. Ma non posso nemmeno bere come sintomo di trasparenza riconquistata la faccenda di un produttore che nel tempo, nei decenni, ha sedotto con le armi del suo fulgido mestiere di creatore di celebrità una quantità di donne, e che ora confessa, esprime contrizione, prende i migliori avvocati, si mette da parte, si fa comprendere e compiangere dalla buona società che occhieggia e che sa come stanno le cose, e dannare in pubblico perché non si fa più, non è più corretto fare, quel che si è sempre fatto, che hanno sempre fatto i titolari del provino cinematografico, provino, provarci. Io ho anche se vogliamo un fondo puritano, e sono disponibilissimo ad accettare che venga ridisegnato il profilo dei rapporti sociali, dal sofà al fidanzamento alla story al matrimonio, ma questa rigenerazione generale dei costumi va argomentata, va costruita con una cultura condivisa nelle generazioni, va dimostrata come nuova legge o nozione di reato, o anche solo di peccato, non si può dare per scontato che questo Weinstein, a me poco simpatico, sia un colosso mostruoso dello stupro o della seduzione mercificata, l’autore di proposte oscene di scambio ad attrici piacenti che gliela hanno data.
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