Anticipiamo un articolo tratto dal numero di Tempi in edicola da giovedì 3 marzo (vai alla pagina degli abbonamenti) – Su Il caso Spotlight, premiato agli Oscar come miglior pellicola, hanno già detto tutto Giulio Meotti e Giuliano Ferrara sul Foglio: «Un film ben fatto di violenta propaganda anticattolica e anticlericale».
A indispettire è il giudizio di Charles Scicluna, monsignore della Congregazione per la Dottrina delle Fede negli anni degli scandali, che l’ha consigliato ai vescovi per imparare che «è la denuncia che salverà la Chiesa, non l’omertà». Ma Il caso Spotlight non dice questo, e stupisce che Scicluna non lo colga. La tesi esposta nel film è che la Chiesa è una mafia e che le colpe dei sacerdoti legittimino a dubitare di tutti i rappresentanti di Dio.
Il caso Spotlight non si limita a “raccontare una storia”; Il caso Spotlight mette sul banco degli imputati la Chiesa tout court, senza farci vedere «l’altra faccia del vero» come la chiama Ferrara, e cioè che esistono anche preti estranei alla pedofilia e che sulle stesse pagine del Boston Globe, come ha raccontato Meotti, si pubblicavano articoli in cui si «celebrava il “sesso non violento” nei casi di pedofilia».
Che ci siano stati preti-orchi è indubbio e che ci siano stati casi in cui siano stati coperti è una verità ammessa dalla Chiesa stessa. Da qui, però, a sponsorizzare un film manicheo per emendarsi agli occhi del mondo, ce ne passa.
La denuncia è necessaria, ma non sufficiente: o la Chiesa ricomincia a educare all’amore in una prospettiva in cui l’altro è amato e trattato per il suo destino (vale anche nel matrimonio!), o domani avrà solo un ugual numero di don pedofili, e una moltitudine di don frigidi.