Il caso Montante e l’antimafia in giacca di velluto con la toppa
Piccolo passo indietro. Nel 2006 un gruppo di imprenditori siciliani lanciarono un guanto di sfida alla criminalità organizzata e al racket. L’allora presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, propose un nuovo codice etico che prevedeva l’espulsione degli imprenditori che pagavano il pizzo. Era la prima volta che accadeva qualcosa del genere in Italia. Nell’inedita battaglia – che ha fatto d’apripista al codice etico adottato dagli industriali italiani – Lo Bello si è trovato a fianco il suo vice dell’epoca, Antonello Montante, e Marco Venturi, allora presidente della Camera di commercio di Caltanissetta. Questo gruppo divenne un punto di riferimento anche a livello politico tanto che, poco dopo, proprio su indicazione di Lo Bello e Montante, Venturi fu nominato assessore regionale all’Industria nella giunta di Raffaele Lombardo. Poi negli anni la fiducia degli industriali in Lombardo è scemata. In Sicilia è caduto il governo, ne è stato eletto uno nuovo con Rosario Crocetta alla guida: ma come assessore all’Industria fu nominata Linda Vancheri, una persona espressione di Lo Bello e Montante. Lo Bello, dal canto suo, è passato dalla vicepresidenza nazionale di viale dell’Astronomia alla guida di Unioncamere. Montante invece oggi guida gli industriali siciliani, è membro dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati e delegato Legalità di Confindustria. E, stando ad un durissimo articolo di Repubblica, sarebbe indagato per concorso esterno. Pochi giorni fa, l’ex amico Venturi ha lasciato Confindustria Sicilia, accusandola – con un’intervista al vetriolo sempre su Repubblica – di “Trame e affari torbidi, la svolta antimafia è solo un inganno”. Venturi ha puntato il dito anche contro Crocetta. «È come se si fosse rotto qualcosa all’interno di quello storico gruppo di imprenditori. Ma c’è chi parla di rottura del fronte antimafia», racconta a tempi.it Mario Barresi, giornalista de La Sicilia che ha scavato nella vicenda, intervistando tutti i protagonisti.
Lo scorso 17 settembre Marco Venturi, dopo una decennale amicizia con Montante ha rilasciato un’intervista in cui ha dichiarato tra l’altro: «L’iniziale battaglia contro le estorsioni dei boss ha portato alla ribalta nazionale il nostro movimento, però quando dal livello base del pizzo ci siamo inoltrati nel cuore del potere mafioso siciliano, nei grovigli delle aree industriali, ho capito che non tutti i compagni di viaggio erano interessati ad andare avanti». E pochi giorni dopo ha detto addio all’unione industriali. Perché proprio ora?
È questo il vero cuore del problema, che non si capisce dall’esterno. Venturi e Montante erano molto in sintonia, avevano una medesima provenienza geografica, avevano iniziato e condotto le stesse battaglie da Caltanissetta.
Lo scorso 11 febbraio, anche Venturi con Lo Bello ha firmato una lettera di solidarietà a Montante in cui dichiaravano: «Quella riportata dai giornali non è una vicenda giudiziaria ed è per questo che ribadiamo la piena fiducia nell’operato del nostro presidente».
Esattamente. Nemmeno sei mesi dopo, a settembre, nell’intervista a Repubblica, Venturi invece ha difeso solo l’imprenditore e amico Alfonso Cicero, presidente dell’Irsap, l’istituto che gestisce le aree industriali siciliane. Due giorni dopo quell’intervista, Cicero si è dimesso spiegando di essere stato abbandonato completamente dal governo Crocetta, e ha rilanciato le accuse di Venturi ancora dalle pagine di Repubblica: «Il governatore e il presidente di Confindustria Sicilia sono accomunati dalla pratica dello stesso doppio gioco». Cicero è da sempre sostenuto da Venturi. E le due interviste sono state date in concomitanza con un passaggio dei due in procura al Caltanissetta, dove avrebbero dato informazioni su Montante e Crocetta. I maligni dicono che ci troviamo davanti alla rottura del fronte antimafia siciliano. Altri sostengono che invece tutto quello che avviene nasce dai problemi creati da Montante, e dall’indagine su di lui che sarebbe in corso.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”]E secondo lei chi ha ragione?
Difficile dirlo: il fronte della “mafia dell’antimafia”, come la chiama lo scrittore siciliano Pietrangelo Buttafuoco, è pieno zeppo di zone grige. Parliamo di quel fronte antimafia che è stato la testata nucleare che ha lanciato la candidatura dell’attuale presidente della regione siciliana. E Rosario Crocetta, nel suo libro Io non ci sto, cita tutte queste persone – Montante, Venturi e Lo Bello – come garanti della sua legalità. Li definisce “compagni di viaggio” e spiega che con loro farà la rivoluzione in Sicilia. Invece, ad un certo punto, è uscita la notizia dell’indagine a Montante e poi Cicero e Venturi hanno rotto un equilibrio interno tra tutte queste persone. Difficile dire anche se Montante sia il solo “brutto e cattivo” e gli altri due, Venturi e Cicero, i paladini della giustizia. Hanno vissuto insieme una lunghissima stagione, tutti e tre.
Lei ha intervistato Crocetta poco dopo che il governatore era stato accusato pubblicamente da Cicero.
Cicero e Venturi avevano fatto intendere di essere a conoscenza di “richieste indicibili”, ma Crocetta ha minimizzato le accuse e le ha esplicitate. Ha raccontato di aver chiesto a Cicero e Venturi di rimettere una querela che avevano presentato contro un imprenditore gelese. Credo che dietro questo pasticciaccio ci sia un altro tema. L’Irsap guidato finora da Cicero gestisce in pratica tutti i consorzi di imprese siciliane, e dietro l’Irsap ci sono molte inchieste e zone d’ombra. Crocetta, tra le righe dell’intervista che mi ha dato, ha fatto intendere più volte che la gestione Cicero non è stata delle migliori ed efficaci.
Proviamo a osservare queste faide e ripicche siciliane da una prospettiva più distaccata. In questa vicenda colpiscono molto le dure parole usate da alcuni quotidiani, come Repubblica, che hanno attaccato duramente una “certa antimafia” che si rivelerebbe un inganno. Perché “certa” antimafia? C’è qualcuno che dà il patentino di “antimafia doc”?
Cito una fonte ben informata nell’ambiente giudiziario, che però devo lasciare anonima. Da moltissimi anni in Sicilia c’è un’antimafia “radical chic” un po’ datata. La mia fonte la chiama «l’antimafia con la giacca di velluto con la toppa» per farne un quadretto riconoscibile. Negli ultimi dieci anni a questa si è affiancata un’“antimafia in gessato”, composta da persone legate ad ambienti socialmente più alti, magari nel mondo della finanza. Quest’ultima antimafia ha considerato gli altri dei “parvenue”. Tutti gli ultimi avvenimenti del caso Montante-Venturi rappresentano solo una rivincita dell’antimafia radical chic, quella dell’intellighenzia siciliana contro i parvenu dell’industria e della finanza. Inoltre, il caso Montante è scoppiato, guarda caso, pochi giorni dopo la sua nomina all’Agenzia per i beni confiscati. Forse il presidente di Confindustria Sicilia non è uno stinco di santo, ma la verità è che al momento non si sa nemmeno se arriverà la richiesta di rinvio a giudizio. Sappiamo solo che c’è un fascicolo aperto a Caltanissetta. Attendere gli sviluppi prima di giudicare è doveroso.
Foto Ansa
[pubblicita_articolo_piede]
Articoli correlati
1 commento
I commenti sono chiusi.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!
La mafia con coppola, lupara, estorsione e pizzo è oramai un’immagine olografica. Si è adattata ai tempi diventando antimafia ,un grimaldello efficiente per entrare legalmente nel governo Regionale e Nazionale. La vera ricca vacca da mungere non sono gli imprenditori o i cittadini ma lo stato e la regione con appalti e assunzioni.
Come disse Tommasi di Lampedusa ” bisogna cambiare tutto perchè nulla cambi”