
Il buffone Grillo e i giornalisti “lupi”. Storia di un amore finito con un «vaffanculo»
«Attenti ai lupi», scrive Beppe Grillo sul suo blog. I lupi sarebbero i giornalisti, pagati dai partiti per «sputtanarci». A parte che basta riportare fra virgolette le esilaranti dichiarazioni di alcuni grillini per «sputtanarli», l’intemerata del leader del M5S è interessante perché rivela che lui stesso, per primo, s’è accorto di un certo “cambio di tono” della grande stampa nei suoi confronti. Il tempo delle coccole al castigamatti della casta è, in parte, finito. È bastato un «vaffanculo» di troppo ai giornalisti che lo tampinavano durante una sua performance e un altro al vincitore-perdente Pier Luigi Bersani per soffiare via un certo alone di simpatia con cui i grandi quotidiani (Repubblica e Corriere su tutti) finora l’avevano ricoperto. Così sono cominciate le punzecchiature e i dispetti e, accanto al circo, hanno iniziato ad apparire analisi poco simpatetiche col «fenomeno Grillo» (basta leggere l’Espresso in edicola).
Per ora il “portavoce” del M5S gode ancora di una certa indulgenza da parte dei media (se Berlusconi avesse parlato del «punto G» delle donne come ha fatto lui, ci avrebbero mandato i caschi blu dell’Onu), ma fino a quando? Per ora gli organi di informazione vivono una sorta di “complesso” nei confronti del comico-leader. Egli, infatti, rappresenta in maniera accattivante il conformismo (ambientalismo, disprezzo per i politici, complottismo…) che essi, di giorno in giorno, spacciano con più o meno garbo sulle loro prime pagine. Ergo “attaccare Grillo” significa attaccare un po’ se stessi. Il “giornalista collettivo”, come lo chiama Giuliano Ferrara, è, in fondo, un grillino con in tasca la tessera della Casagit.
IL MARCIO DEI PARTITI. Prendete Repubblica e Corriere della Sera. A sorpresa Ernesto Galli Della Loggia ha scritto sul Corriere che, grazie a Grillo, l’Italia avrebbe fatto un passo da gigante contro la partitocrazia. Ha fatto «la sola cosa che poteva fare: se n’è inventato un altro, di partito. Praticamente dal nulla e con il nulla: affidandosi a una sorta di fool , di “matto”, di buffone shakespeariano, l’unico capace, nella sua follia, di dire ciò che gli altri non potevano». Il Corriere, poi, è il giornale di Rizzo e Stella, due grillini in giacca e cravatta. È anche per questo che il quotidiano di via Solferino infila Grillo ovunque, anche dove non dovrebbe starci: l’altro giorno ospitando un intervento di Adriano Celentano che solo tangenzialmente parlava di politica, il Corriere ha titolato “Ecco perché Grillo ha vinto”.
IL ’68 GRILLINO. Anche a Michele Serra, una delle firme più illustri del quotidiano di Ezio Mauro, il fenomeno Grillo piace. «Questo voto – ha scritto – è il primo segno storico della fine del silenzio giovanile in questo paese». Serra vede il grillismo come il «primo evidente segno di diversità giovanile e di conflitto generazionale». Secondo il rubrichista di Repubblica «il 68 è stato molto simile a questo». L’età media dei giovani rivoluzionari s’è alzata, ha spiegato, ma questi quarantenni e cinquantenni, votando per i grillini, hanno deciso di compiere quella rivoluzione a cui aspiravano i ventennni di quarant’anni fa: ribellarsi ai vecchi e alla loro politica vecchia.
PARTITO DEL PADRONE. Dall’altra parte, però, negli stessi quotidiani è possibile leggere posizioni diametralmente opposte. Come quella di Giovanni Sartori, sul Corriere, che ieri ha attaccato il movimento: «Se il suo non è un partito, allora i suoi eletti non hanno il diritto di costituire un gruppo parlamentare né di usufruire dei benefici connessi (per esempio di utilizzare una sede che grava sul bilancio del Parlamento)». I grillini? «Qualcuno ci dovrebbe spiegare che razza di rappresentanti sono». Non rappresentano la nazione, secondo Sartori. Difatti, se fra le «richieste perentorie» di Grillo «c’è anche quella di abolire il divieto del mandato imperativo» è perché «a Grillo va benissimo» tenere i parlamentari sotto il suo controllo.
FALSA DEMOCRAZIA DIRETTA. E l’altro giorno, Repubblica ha fatto scendere in campo l’artiglieria pesante, con un’intervista a Umberto Eco, in cui il semiologo affermava che «il grillismo parlamentare è una contraddizione». «In internet non ci sono tutti i cittadini», ha spiegato, e le decisioni «non vengono prese dal popolo sovrano ma da un’aristocrazia di blogghisti». Non una democrazia diretta, bensì etero-diretta. Non concetti nuovissimi insomma, ma ciò che conta è che ad esprimerli fosse Eco, che per i lettori di Repubblica ha la stessa autorevolezza di Casaleggio fra i grillini (uno scontro fra titani, insomma).
Non va poi dimenticato l’amaro commento, all’indomani del voto, del fondatore di Repubblica Eugenio Scalfari: «Siamo passati da Altiero Spinelli, da De Gasperi, da Prodi, da Ciampi, da Padoa Schioppa, a Grillo e a Casaleggio. Shakespeariani forse ma comunque buffoni». Buffoni a cui, fino a oggi, lorsignori hanno armato la mano.
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