Il Biden filo-israeliano non piace ai democratici statunitensi
Joe Biden sta pagando un prezzo politico per il suo sostegno a Israele e alla sua offensiva militare nella Striscia di Gaza. Lo dicono i mal di pancia all’interno del Partito democratico, ma lo dicono soprattutto i sondaggi fra gli elettori americani.
Il 25 ottobre la Camera dei Rappresentanti, riunita per la prima volta dopo la nomina del repubblicano Mike Johnson come speaker, ha votato un testo di condanna dell’attacco compiuto da Hamas contro Israele il 7 ottobre scorso e ha riaffermato «l’impegno (americano – ndt) per la sicurezza di Israele, anche attraverso assistenza alla sicurezza». La mozione è stata approvata con 412 voti a favore con un ampio voto bipartisan, ma 9 degli unici 10 voti contrari sono venuti da deputati democratici, e democratici erano tutti e 6 i deputati che si sono astenuti.
I “dissidenti” fanno tutti parte dell’ala sinistra del partito; si tratta dei deputati Rashida Tlaib (di origine palestinese, rappresentante del Michigan), Cori Bush (Missouri), Jamaal Bowman (New York), André Carson (Indiana), Al Green (Texas), Alexandria Ocasio-Cortez (New York), Summer Lee (Pennsylvania), Delia Ramirez (Illinois) e Ilham Omar (Minnesota). Tutti quanti fanno parte di minoranze etniche e razziali.
Biden sotto il 40 per cento
Più preoccupante per il presidente Biden, soprattutto in vista delle elezioni presidenziali dell’anno prossimo, l’improvvisa flessione dei consensi alla sua amministrazione fra i simpatizzanti del Partito democratico: secondo un sondaggio condotto dalla Gallup, fra settembre e ottobre il gradimento delle politiche presidenziali è sceso dall’86 al 75 per cento fra coloro che si definiscono democratici. A causa di ciò il gradimento complessivo di Biden presso il pubblico americano è sceso dal 41 per cento di settembre al 37 per cento di ottobre: è la quarta volta da quando è stato eletto presidente che Biden finisce sotto al 40 per cento dei consensi.
Secondo gli analisti della Gallup non ci sono dubbi che la perdita di fiducia è dovuta alle dichiarazioni e agli atti compiuti dal presidente all’indomani degli attacchi del 7 ottobre. A corroborare questa conclusione non sarebbe solo la coincidenza temporale fra la caduta di consenso e la visita di Biden a Benjamin Netanyahu, ma anche precedenti sondaggi che vanno nella direzione di un riallineamento delle simpatie rispetto a Israele e ai palestinesi fra gli elettori che si considerano democratici.
Con gli israeliani o con i palestinesi?
Nel marzo scorso un altro sondaggio della Gallup aveva appurato che, per la prima volta da quando veniva sondato l’argomento, una maggioranza di elettori democratici dichiarava la sua simpatia per la causa palestinese piuttosto che per quella di Israele. Alla domanda «Nell’attuale situazione del Medio Oriente, le tue simpatie vanno più agli israeliani o ai palestinesi?», all’inizio di quest’anno il 49 per cento dei democratici ha risposto “ai palestinesi”, e solo il 38 per cento “agli israeliani”.
Fino a pochi anni fa i democratici favorevoli ad Israele erano nettamente maggioritari. Ancora nel 2014 sopravanzavano i favorevoli ai palestinesi per 58 a 23 per cento. Poi la forbice è andata chiudendosi, e l’anno scorso le due opzioni erano in parità, attorno al 39 per cento.
Secondo alcuni analisti la svolta pro-palestinese dell’elettorato democratico dipenderebbe dall’eccessiva vicinanza del premier israeliano Netanyahu ai repubblicani (fra i quali il sostegno a Israele continua ad essere altissimo, con il 78 per cento a favore e solo l’11 per cento pro-palestinese); secondo altri invece dipenderebbe da un fattore generazionale.
Gruppi d’età
Sondaggi Gallup condotti contestualmente a quelli sin qui riferiti dicono che la maggioranza degli americani tuttora simpatizza per gli israeliani più che per i palestinesi (nell’ordine del 54 per cento contro il 31 per cento), ma quando si scende ad analizzare i gruppi d’età (Millennials, cioè nati fra il 1980 e il 2000, Generazione X, cioè nati fra il 1965 e il 1979, Baby boomers, cioè nati fra il 1946 e il 1964, Generazione silenziosa, cioè nati fra il 1900 e il 1945), si scopre che in tutti i gruppi i favorevoli ad Israele sono più numerosi di quelli favorevoli ai palestinesi, tranne che fra i Millennials, dove i favorevoli ai palestinesi superano di un 2 per cento coloro che sono pro-Israele.
A conferma che gli americani più giovani pendono più dalla parte dei palestinesi che da quella degli israeliani arriva un altro sondaggio, condotto stavolta dalla Quinnipiac University, nel quale si domandava agli americani adulti, ripartiti in quattro gruppi di età, se approvavano o disapprovavano l’invio di armi e altro equipaggiamento militare a Israele da parte degli Usa dopo gli attacchi del 7 ottobre. Il 59 per cento degli americani fra i 35 e i 49 anni di età si è dichiarato favorevole, così come il 77 per cento di coloro che hanno fra i 50 e i 64 anni e il 78 per cento di coloro che hanno più di 65 anni; ma fra gli americani che hanno fra i 18 e i 34 anni soltanto il 39 per cento è favorevole all’invio di armi a Israele, mentre il 51 per cento è contrario.
Un handicap per Biden
I deputati che rappresentano la maggioranza del gruppo democratico al Congresso non si mostrano preoccupati del recente voto sulla mozione del 25 ottobre. «Rappresento la corrente principale del Partito democratico», dichiara Ritchie Torres, deputato democratico di New York, «mentre membri come Ilhan Omar rappresentano una frangia. Difficilmente la definirei una spaccatura. Una spaccatura sembrerebbe suggerire che il Partito democratico sia diviso in due tronconi. Al contrario: con l’eccezione di una minoranza visibile e rumorosa, quasi tutti i democratici del Congresso sostengono il diritto di Israele di difendersi di fronte ad un terrorismo senza precedenti».
Commenta la giornalista Bari Weiss: «La posizione di Biden su Israele è ampiamente popolare presso l’elettorato considerato complessivamente. Ma i cambiamenti demografici e ideologici interni al Partito democratico rischiano di rendere Israele-Hamas un vero e proprio handicap per Biden all’interno della base del suo partito».
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