Il best seller sulla malattia di due figlie che ha dato speranza alla Francia

Di Benedetta Frigerio
05 Gennaio 2013
"Due piccoli passi sulla sabbia bagnata" è la storia di una giornalista parigina. Racconta il calvario della malattia di due figlie che insegna ad amare l'istante, a guardare in profondità la vita e con verità i propri bambini.

Un figlio di quattro anni, Gaspard, e una figlia di due, Thaïs, che si scopre affetta dalla Leucodistrofia metacromatica, una malattia genetica fatale, durante il periodo di gravidanza della terzogenita Azylis che alla nascita risulterà anch’essa malata. È la storia di un calvario interminabile, di una patologia neurodegenerativa e di una famiglia che ogni volta che sembra vedere la luce risprofonda nelle tenebre. Eppure questo percorso, raccontato in un libro pubblicato di recente, ha dato speranza a milioni di persone. Due piccoli passi sulla sabbia bagnata (Bompiani, 242 pagine, 16,00 euro) ha venduto solo in Francia 200 mila copie. Scritto dalla giornalista parigina Anne-Dauphine Julliand parla della sua vicenda personale vissuta con il marito Loïc. Dei trasferimenti continui in ospedale, dei giorni e le notti a somministrare farmaci, del disagio del figlio sano, dell’assenza di forze.

IL SAPORE DELLA PAZIENZA. Come è possibile allora che in tante pagine, in cui non si risparmia al lettore alcun dettaglio di dolore profondo, si possa trovare speranza? La vulnerabilità è uno dei segreti che permette alla famiglia di non fermarsi all’apparenza. C’è poi la descrizione dell’amicizia e l’amore di chi vuole stare con la piccola Thaïs, che immobile a letto riesce a cambiare la vita di medici, infermieri, amici. E poi il continuo arrivo di una mano amica, implorata quando le energie sembrano ormai finite. Soprattutto quella inaspettata della tata Thérèse che insegna ai coniugi ad assaporare l’istante nella pazienza, perché «per lei l’attesa non è un vuoto; è una condizione in sé (…) quando deve aspettare non mette la vita tra parentesi. Continua a vivere». Poi la descrizione di come una figlia possa dare amore con quella potenza che ciascuno di noi attende. E quella di tre bambini che invece che essere educati e ricevere educano e danno ai genitori.

«AMO LA ROUTINE». La vicenda di Anne e Loïc insegna poi a ogni mamma e papà a non accontentarsi della superficie e a guardare i figli e l’istante con la profondità della verità che attrae il lettore. Una verità che si fa dolorosa e benefica nella carne di una bambina. Perché il dolore, trasformato in domanda da Anne e Loïc, fa sentire di più tutto. Anche il bello, anche il solito: «Il sole tramonta in un fulgore rosseggiante. Sì, decisamente oggi è una bella giornata (…) Sono consapevole di quale fortuna inaudita sia portare a passeggio il proprio bambino (…) amo la routine. Un anno fa non avrei immaginato di poterlo dire».

SE IL DOLERE SI FA DOMANDA. Il racconto fa poi capire perché «il meglio è nemico del bene», perché «non c’è niente di meglio di un bacio per sapersi amati», e che misteriosamente occorre attendere «per assaporare» anche il più «piccolo piacere». Fra le righe si procede nella scoperta, durata più di tre anni, che ciò che sembrava solo contrario ha reso l’unico figlio sano di un «equilibrio che stupisce. È felice a scuola, in famiglia, nel rugby e nella vita» e l’altra figlia malata «felice» e «capace di trovare il suo posto».
Nel racconto quello che per la maggioranza è rifiuto diventa fonte di amore fino a far dire a una madre, che si è «adoperata per un anno e mezzo», per dare amore alla figlia, che «troppo assorbita dalla vastità del mio compito, non ho visto, non ho capito che era lei il mio maestro d’amore». Mentre il dolore converte la famiglia alla scoperta di un bene «attraverso le ferite, l’infermità, le malattie».
Un bene che per Anne nemmeno la morte può cancellare, perché l’insostenibile non è la sofferenza nella vita, ma «la mancanza d’amore», che la donna vede nella superficialità nichilista e gaia: «Certo, chi guarda la cosa da lontano può ironizzare, sottovalutare, non accettare una simile fragilità. Ma chi si avvicina, si china su di lei, cerca di condividerne il dramma, percepisce come me che tale vulnerabilità comporta solamente una risposta: l’amore». Uno eterno, capace di far dire al piccolo Gaspard che «la morte non è grave. È triste, ma non è grave».

@frigeriobenedet

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