Così l’ideologia verde ci ha resi ricattabili da Putin sull’energia
Nella quasi totale indifferenza lunedì scorso il panel intergovernativo delle Nazioni Unite che studia i cambiamenti climatici, l’Ipcc, ha pubblicato la seconda parte di un lungo rapporto, a cui gli esperti lavorano da circa cinque anni, che traccia un quadro disastroso degli impatti che il climate change starebbe avendo sul nostro pianeta.
La guerra legata alla crisi climatica? Sì, ma…
Tempismo decisamente rivedibile: la guerra in Ucraina ha oscurato il Covid, non poteva che lasciare in secondo piano l’ennesimo allarme sul pianeta da salvare e le temperature da abbassare. Il rapporto Ipcc è però stato legato proprio alla crisi ucraina dai suoi estensori. «Qualunque disordine che creiamo nel mondo si alleerà con il cambiamento climatico e impoverirà la nostra capacità di rispondere a entrambi», ha scritto Politico.
«La guerra in Ucraina è legata alla crisi climatica in diversi modi. L’aggressore è un petrostato il cui futuro economico a lungo termine dipende da un’azione lenta di riduzione delle emissioni. La dipendenza dell’Europa dal petrolio e dal gas russi sta aprendo discussioni sulla necessità di una transizione più veloce verso l’energia pulita e sull’esplorazione di nuove fonti alternative per i combustibili fossili».
Poche ora prima che la Russia iniziasse la guerra contro l’Ucraina, l’ex segretario di Stato americano e oggi inviato speciale per il clima, John Kerry, si era detto preoccupato per l’aumento delle emissioni che un conflitto avrebbe causato, oltre a distogliere l’attenzione dalla lotta al climate change, ma si diceva speranzoso nel fatto che Putin, sapendolo, non avrebbe voluto danneggiare il clima. Nessuna gaffe, Kerry ha rivelato un’ossessione – quella per il green a tutti i costi e per la lotta ai combustibili fossili – comune a molti che pensano probabilmente di vivere in un mondo ideale in cui anche i cattivi autocrati sono innanzitutto preoccupati da come fermare l’innalzamento delle temperature globali.
L’assedio russo è come l’oceano che si innalza (sic)
Non sorprende che abbia trovato spazio la chiave interpretativa che legge la guerra in Ucraina in fondo come una distrazione (di attenzione e di fondi) dal vero problema, quello del clima che cambia, arrivando – è ancora Politico a farlo – a imbarazzanti paragoni: «C’è un’altra connessione tra l’incubo che si sta svolgendo in Ucraina e la crisi climatica. Al centro del rapporto dell’IPCC c’è la questione di una patria: “Dove sarà possibile vivere? Chiaramente la vita in alcuni luoghi del mondo diventerà sempre più impegnativa”. Le persone che si armano a Kiev affrontano l’invasione militare. Nelle isole del Pacifico di Kiribati, le persone stanno costruendo dighe di corallo spezzato perché è tutto ciò che hanno per combattere il mare invasore».
Il mondo però non è il parco giochi di Biden e Kerry, e la lettura più realista delle implicazioni energetico-climatiche nella guerra in Ucraina è quella capovolta rispetto alle tesi dell’Ipcc. Non è la guerra a rendere più difficile la transizione verde, ma l’incaponimento sulla transizione verde a tutti i costi ad avere costruito alcune delle premesse che hanno portato alla guerra.
L’ideologia verde che ci ha resi ciechi
Lo ha spiegato Michael Shellenberger su Common Sense: «Putin sa che l’Europa produce 3,6 milioni di barili di petrolio al giorno ma utilizza 15 milioni di barili di petrolio al giorno. Putin sa che l’Europa produce 230 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno ma ne utilizza 560 miliardi. Sa che l’Europa utilizza 950 milioni di tonnellate di carbone all’anno ma ne produce la metà».
«L’ex agente del KGB sa che la Russia produce 11 milioni di barili di petrolio al giorno ma ne usa solo 3,4 milioni. Sa che la Russia ora produce oltre 700 miliardi di metri cubi di gas all’anno ma ne utilizza solo circa 400. La Russia estrae 800 milioni di tonnellate di carbone ogni anno ma ne utilizza 300. È così che la Russia finisce per fornire circa il 20 per cento del petrolio europeo, il 40 per cento del suo gas e il 20 del suo carbone».
Com’è possibile, si chiede il giornalista americano, «che i paesi europei, in particolare la Germania, si siano permessi di diventare così dipendenti da un paese autoritario nei trent’anni successivi alla fine della Guerra Fredda?». Semplice, «questi paesi sono nelle grinfie di un’ideologia delirante che li rende incapaci di comprendere la dura realtà della produzione di energia. L’ideologia verde insiste sul fatto che non abbiamo bisogno del nucleare e che non abbiamo bisogno del fracking. Insiste sul fatto che è solo una questione di volontà e denaro passare a tutte le rinnovabili e velocemente. Insiste sul fatto che abbiamo bisogno della “decrescita” dell’economia e che dobbiamo affrontare un’incombente “estinzione” umana».
Mentre l’Occidente venera Greta, Putin gli vende gas
L’ossessione dell’Occidente per il pianeta da guarire a colpi di energie rinnovabili e senza gas e nucleare «ha permesso a Putin di stringere una stretta mortale sull’approvvigionamento energetico dell’Europa. Mentre l’Occidente cadeva in una trance ipnotica per curare il suo rapporto con la natura, scongiurare l’apocalisse climatica e adorare un’adolescente di nome Greta, Vladimir Putin ha fatto le sue mosse».
Ha aumentato la produzione di energia nucleare per potere esportare petrolio e gas in Europa, mentre «i governi occidentali passavano il loro tempo e la loro energia ossessionati dalle “impronte di carbonio”», vietavano le cannucce di plastica e pagavano sedute di terapia per curare l’ansia climatica.
«Mentre Putin ha ampliato la produzione di petrolio della Russia, ha ampliato la produzione di gas naturale e quindi ha raddoppiato la produzione di energia nucleare per consentire maggiori esportazioni del suo prezioso gas, l’Europa, guidata dalla Germania, ha chiuso le sue centrali nucleari, ha chiuso i giacimenti di gas e si è rifiutata di sviluppare metodi avanzati come il fracking».
Ecco perché, scrive Shellenberger, «dovremmo prendere l’invasione russa dell’Ucraina come un campanello d’allarme. Difendere la civiltà occidentale questa volta richiede forniture di energia economiche, abbondanti e affidabili prodotte in patria o nelle nazioni alleate. La sicurezza nazionale, la crescita economica e la sostenibilità richiedono una maggiore dipendenza dal nucleare e dal gas naturale e meno dai pannelli solari e dalle turbine eoliche, che rendono l’elettricità troppo costosa».
Scaroni: «Rivedere le posizioni sull’energia»
In un’intervista al Sole 24 Ore di ieri, l’ex ad di Enel ed Eni, Paolo Scaroni ha commentato con preoccupazione la crisi con la Russia, da cui l’Italia dipende per le forniture di gas: «Questo è anche il risultato di 30 anni di comportamenti degli italiani: non dei governi che si sono succeduti, ma proprio dei cittadini, che con il loro voto e loro prese di posizione hanno detto no al nucleare, no ai rigassificatori, no allo sfruttamento delle nostre risorse nel mare Adriatico. Un’opposizione continua, che si è rivolta anche contro il solare e l’eolico, di cui ora raccogliamo frutti. Purtroppo siamo in un guaio ciclopico, che abbiamo contribuito a costruire con trent’anni di mobilitazione dissennata dei cittadini».
«Non ho dubbi sull’obiettivo della neutralità carbonica entro il 2050», ha aggiunto il deputy chairman di Rothschild, «ma dobbiamo lavorare in modo più ordinato, che ci porti progressivamente al traguardo, non con misure frutto di un isterismo verde. Questa crisi forse ci porterà a rivedere alcune posizioni, non ad abbandonare l’obiettivo net zero, ma magari a trovare il modo di arrivarci senza mettere in ginocchio i consumatori». «Non è troppo tardi», concludeva il suo ragionamento Shelleberger, «per salvare il mondo dai regimi tirannici che sono stati rafforzati dalle nostre stesse superstizioni energetiche».
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!