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I sabati di lavoro dei profughi ucraini per i polacchi «in segno di gratitudine»

Sono più di tre milioni i profughi ucraini accolti in Polonia dall’inizio della sciagurata invasione russa. La maggior parte di loro sono donne con bambini, e prima ancora che si muovesse l’apparato statale sono stati accolti da famiglie, associazioni, comunità parrocchiali e comunali.

Un’ondata di solidarietà che ha impressionato anche papa Francesco che ha più volte ringraziato i polacchi per aver espresso «misericordia verso tanti rifugiati dall’Ucraina, che hanno trovato in Polonia porte aperte e cuori generosi».

Un approccio diverso da quello dimostrato dalla maggior parte della popolazione nei confronti dei migranti mediorientali che premevano in centinaia ai confini polacco-bielorussi solo qualche mese fa. Una «dissonanza» notata dalla sociologa e attivista Katarzyna Sztop-Rutkowaska sul portale Wiez.pl: «La reazione della nostra società al dramma dei rifugiati ucraini mi ha resa orgogliosa. Senza dubbio, è un gesto di sostegno grandioso e diffuso, molto significativo. Ma allo stesso tempo ho percepito una certa dissonanza, tristezza e persino rabbia di fronte alla divisione così netta tra rifugiati “di serie A” e “di serie B”. (…) La guerra in Ucraina ha dimostrato che ciò che è geograficamente, socialmente o culturalmente vicino risulta essere più comprensibile e coinvolgente per le persone».

Dai dati del Ministero delle politiche sociali risulta che oltre 100.000 ucraini hanno già trovato lavoro in Polonia, grazie alla semplificazione delle procedure. «Ciò permette a migliaia di loro di avere una fonte di reddito e di vivere in modo indipendente nel nostro paese», ha osservato il ministro Marlena Maląg. I dati ufficiali non tengono però conto di chi lavora nell’economia sommersa: il fatto stesso di essere ospitati presso famiglie favorisce questo tipo di attività «domestica», tanto più che la maggior parte degli occupati sono donne.

Per i più giovani, invece, è stato avviato l’inserimento nelle strutture formative: il ministro dell’istruzione Czarnek ha promesso di inserire 700.000 studenti nelle scuole polacche tramite un processo «graduale, sistematico e flessibile».

Ma la cosa interessante è che la solidarietà non è stata a senso unico. Così dopo il primo momento di scompiglio per sistemarsi, molti profughi si sono letteralmente rimboccati le maniche impegnandosi in un lavoro «socialmente utile»: la pulizia di parchi e giardini pubblici. Su Telegram hanno organizzato dei moderni subbotniki – termine che in epoca sovietica indicava i sabati di lavoro non pagato – «in segno di gratitudine verso i polacchi».

L’iniziativa è partita dalla cittadina di Suwałki, dove una trentina di rifugiati si è messa a pulire il parco. L’iniziativa è stata ripresa dalla stampa che l’ha rilanciata in tutto il paese, coinvolgendo profughi ospitati in molte città.
«Siamo disposti a fare questo lavoro, abbiamo sacchi e guanti e non abbiamo paura del meteo», racconta una di loro a Radio Lublino. È tutto autogestito, e alla fine ci si accorda con gli uffici comunali per lo stoccaggio dei rifiuti o per segnalare situazioni particolari dal punto di vista ambientale.

«Siamo qui dal 10 marzo e di nuovo si ricomincia a vivere – racconta Katja a Currenttime.tv che ha raccolto varie voci dei partecipanti. – Per questo voglio ringraziare gli abitanti di Varsavia e tutta la Polonia che ci permettono di sentirci al sicuro: ci hanno dato cieli sereni e la possibilità di dormire, ci hanno aiutato a trovare alloggio e qualche lavoro, e le mie ragazze – sono alle superiori – stanno cercando di entrare in università».

«È difficile starsene sempre a casa – osserva Sof’ja. – Seguiamo costantemente le notizie, discutiamo di politica, ci preoccupiamo, e vogliamo staccare, distrarci». Il subbotnik rappresenta un’opportunità anche in questo senso.
La maggior parte dei volontari sono donne, spesso si portano i bambini ancora molto piccoli, e si fermano anche per uno spuntino. Qualcuno scherza guardando il parco ben tenuto: «Abbiamo portato più spazzatura di quella che possiamo raccogliere!».

«È un’iniziativa molto giusta – aggiunge Kateryna. – Conoscenti e cittadini polacchi mi hanno aiutato molto, ospitandomi a casa loro, poi mi hanno trovato un posto dove vivere. Ora ho mio figlio all’asilo e io posso lavorare. Bisogna partecipare al subbotnik per non essere in debito con lo Stato, perché la società che ti aiuta va sostenuta».

«Qui c’è il bosco, l’aria fresca, si passeggia, ma nei giorni feriali pensi a come raccapezzarti in questo nuovo mondo, si riflette sui piani a lungo termine, perché non sai quando e come finirà la guerra», osserva Irina.

È interessante che a volte accanto ai profughi partecipino anche ucraini trasferitisi in Polonia anni addietro. «Vivo vicino a questo parco – dice Julija, che risiede in Polonia ormai da sette anni. – Ho deciso di partecipare perché i polacchi aiutano molto la mia gente. Capisco che i miei compatrioti vivano situazioni diverse in questo momento: molti hanno paura, hanno problemi, cercano un posto dove vivere e quindi non possono partecipare a queste azioni. Io però sono venuta a ringraziare anche a nome loro».

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