«I missionari stranieri potrebbero non essere più ammessi a Hong Kong»
«Ho paura che questa legge sarà la fine di Hong Kong come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi e temo ripercussioni serie anche per i missionari cattolici stranieri che vivono in città». È molto preoccupato padre Gianni Criveller, missionario, attualmente preside del Seminario teologico internazionale del Pime a Monza. Padre Criveller non è appena un “esperto” di Cina, avendo vissuto 27 anni a Hong Kong, dove insegna tuttora Teologia della missione e storia del cristianesimo in Cina presso l’Holy Spirit Seminary College. Il 28 maggio il Congresso nazionale del popolo, il “Parlamento” cinese, ha dato mandato con una risoluzione al Comitato permanente di scrivere una legge sulla sicurezza nazionale per Hong Kong, che verrà inserita direttamente nella mini Costituzione della città autonoma, la Basic Law, come allegato. La legge punirà i reati di sedizione, sovversione, tradimento, terrorismo e collusione con paesi stranieri e potrebbe far tramontare in modo definitivo il sole sul modello “Un paese, due sistemi”, che avrebbe dovuto garantire all’ex colonia britannica “ampia autonomia” fino al 2047.
Padre Criveller, si aspettava una mossa così audace da parte di Pechino?
Sinceramente no. Pensavo che Pechino avrebbe cercato una soluzione equilibrata. Anche se non conosciamo ancora le esatte parole della legge, che verrà scritta nelle prossime settimane o mesi, a giudicare dai sette articoli di cui si compone la proposta passata al Congresso si può dire che sarà gravida di conseguenze.
Quali conseguenze?
È proprio per punire i reati che verranno introdotti a Hong Kong da questa legge che in Cina vengono perseguitati tanti dissidenti. Pensiamo solo al premio Nobel per la pace Liu Xiaobo, morto in carcere di cancro nel 2017, imprigionato solo per aver auspicato riforme politiche in Cina.
Pechino respinge ogni critica affermando che in quasi tutti i paesi del mondo esistono leggi che tutelano la sicurezza nazionale.
Ed è vero, quello che Pechino non dice però è come vengono interpretati questi crimini in Cina. È fin troppo chiaro che la legge sarà usata come strumento per mettere a tacere la voce del popolo, ma anche per esautorare il governo della città autonoma.
In che modo?
Uno degli articoli della risoluzione approvata dal Congresso prevede che a Hong Kong possano essere aperti degli uffici che rispondono a Pechino incaricati dell’applicazione della legge. Questo significa che i poteri del Consiglio legislativo e del governo di Hong Kong ne risulteranno per forza limitati. Si profila la fine del modello “Un paese, due sistemi”.
Anche la Chiesa cattolica di Hong Kong sarà danneggiata da questa legge?
Da quello che ho sentito a Hong Kong nei giorni scorsi, c’è il timore che non ci sarà un occhio di riguardo verso gli esponenti della Chiesa. La libertà di molte persone sarà a rischio.
Può fare qualche esempio?
La Commissione di giustizia e pace della Chiesa di Hong Kong si pronuncia spesso sulle violazioni dei diritti umani e della libertà religiosa in Cina. Potrà ancora farlo in piena legalità dopo l’approvazione della legge? Temo che da subito si troverà in una situazione di grave tensione e oppressione. E poi molti fedeli, presbiteri e religiosi sono scesi in strada.
Se la legge punirà davvero qualsiasi «interferenza straniera che possa minacciare la sicurezza nazionale» c’è il rischio che i missionari stranieri vengano cacciati, come avvenuto nella Cina continentale?
Detto che ancora non conosciamo il testo della legge, sì, è una preoccupazione reale: i missionari stranieri potrebbero subire gravi limitazioni. C’è da temere che Hong Kong venga a somigliare sempre più alla Cina, dove i missionari non sono ammessi. E sarebbe un’ingiustizia, perché i missionari danno un contributo straordinario alla Chiesa e alla società, sul piano ecclesiale, sociale ed educativo. Ci sono tanti paesi gelosi delle loro prerogative nazionali in Asia Orientale – come Filippine, Giappone o Corea del Sud – che non impediscono ai missionari di operare.
Da un anno e mezzo la Chiesa di Hong Kong non ha un vescovo. Questo potrebbe indebolire la voce dei cattolici in un momento cruciale per la vita della città?
Dopo l’imprevista morte, nel gennaio 2019, del vescovo Michael Yeung, è stato nominato amministratore apostolico il cardinale John Tong Hon, richiamato in servizio mentre era già in pensione. Lo conosco, è una persona perbene, un amico e sta facendo quello che può, ma è anche una persona anziana, chiamata a fronteggiare una situazione drammatica.
Se il Vaticano ritarda tanto la nomina è per problemi “diplomatici”?
Il complesso sistema di nomina dei vescovi che rientra nell’accordo tra Cina e Vaticano firmato nel settembre 2018 non riguarda Hong Kong. Quando il vescovo Yeung è morto non erano ancora scoppiate le proteste anti-estradizione e la situazione sociale ed ecclesiale era piuttosto tranquilla. C’era anche un candidato naturale alla successione, dal punto di vista ecclesiale, il vescovo ausiliare Joseph Ha. Lui è molto popolare tra i cattolici ma la Santa Sede non ha reputato opportuno allora nominarlo vescovo ordinario. Si è parlato anche di altri candidati, che alcuni, a torto o a ragione, considerano come più graditi a Pechino. Credo che la volontà di trovare una soluzione negoziata e gradita a tutti ha rallentato la scelta. Poi c’è stata la pandemia, ora c’è la nuova legge. È passato, come ricordavi, un anno e mezzo. E temo che non ci siano soluzioni in vista. La Chiesa di Hong Kong soffre per questa situazione, e si rischia di aggravare divisioni interne.
Perché?
Il vescovo Ha ha preso una posizione a favore dei manifestanti e la maggior parte dei cattolici, anche se non tutti, apprezza il suo coraggio. Il Vaticano a quel punto si è probabilmente trovato in imbarazzo con una situazione difficile da gestire. Io non attribuisco colpe a nessuno, perché neanche la Santa Sede è in grado di leggere il futuro. Ho solo un rammarico.
Quale?
Se la decisione sulla successione fosse stata presa subito, magari non avrebbe accontentato tutti, come sempre succede, ma le considerazioni sarebbero state prevalentemente di carattere ecclesiale. Ora invece, purtroppo, a prescindere dal candidato che sarà scelto, la nomina assumerà un significato politico enorme.
Lei ha vissuto 27 anni insieme alla popolazione di Hong Kong. Che cosa prova in questi giorni?
Grande dolore, preoccupazione e amarezza. Hong Kong è meravigliosa, una città non del tutto democratica ma libera, dove tutti hanno sempre potuto esprimere le proprie opinioni pacificamente. Tra gli arrestati e tra le persone in pericolo ci sono amici di cui conosco l’integrità morale e l’impegno verso la non violenza. Hong Kong non è solo bellissima dal punto di vista naturalistico e architettonico, anche la gente, la società sono ammirevoli. Per quanto nell’ultimo anno di proteste ci siano state frange di violenti, che condanno senza esitazione alcuna perché fanno un servizio ai loro avversari, in quali altre città del mondo milioni di persone sono scese in piazza, per molti anni, in modo assolutamente pacifico? La maturità civile di Hong Kong è esemplare e andava premiata. La gente non merita questa legge.
Questa svolta drammatica per la città arriva in un momento particolare: quest’anno il Pime festeggia 150 anni dall’ingresso nella Cina continentale.
L’8 febbraio 1870 quattro missionari partivano proprio da Hong Kong per un viaggio che li avrebbe portati nell’Henan. Passarono anche per Wuhan, loro ultima tappa prima di raggiungere la provincia dell’Henan, dove fondarono con il passare degli anni varie diocesi. La nostra storia di amicizia con la Cina continentale si è purtroppo dovuta interrompere definitivamente tra il 1951 e il 1954, quando i nostri numerosi missionari furono espulsi. La presenza del Pime a Hong Kong, dove siamo arrivati nel 1858, non si è però interrotta. Ora questa nuova legge ci costringe a riflettere su quanto sia fragile la nostra presenza e attività missionaria. Noi però speriamo di restare e continuare a dare il nostro contributo. Spero anche che questo anniversario susciti in tante persone un interesse straordinario verso la Cina e il destino della nostra meravigliosa e amatissima città di Hong Kong.
Foto Ansa
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