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I medici russi non si fidano né di AstraZeneca, né di Pfizer

Con oltre 4 milioni e mezzo di contagiati e 100.000 morti, la Russia si pone al quinto posto nella tragica classifica dei paesi colpiti dal Covid-19. È stato il primo paese a sviluppare un vaccino e oggi ne ha a disposizione altri due, eppure solo il 5% della popolazione è stato vaccinato. Come mai? Il sondaggio condotto all’inizio di aprile dal Centro demoscopico Levada offre alcune indicazioni. Il Levada ha intervistato 1.850 medici specialisti che operano nelle regioni di tutta la federazione.

Partiamo dalla fiducia degli operatori sanitari verso i vaccini in circolazione: tra quelli russi, lo Sputnik V dell’Istituto Gamalej di Mosca è ritenuto il più affidabile, mentre la percentuale scende al di sotto del 50% nel caso degli altri due (CoviVac dell’Ist. Čumakov di Pietroburgo, ed EpiVacCorona dell’Ist. Vektor di Novosibirsk); si fa decisamente poco affidamento sui prodotti stranieri, in particolare il vaccino AstraZeneca, probabilmente per l’impossibilità ad avere dati che permettano di esprimere una valutazione adeguata.

Secondo i medici intervistati, l’indolenza della popolazione nei confronti della campagna vaccinale ha le sue radici sia nella diffusa sfiducia nei confronti dei preparati nazionali (così la pensa il 46% dei medici) e delle vaccinazioni in genere (52%), sia nell’insufficienza dell’informazione resa alla popolazione (22%) e soprattutto delle dosi distribuite (38%). Quest’ultimo dato si riferisce principalmente ad alcune regioni del paese: i medici sostengono infatti che a Mosca l’offerta sia addirittura in eccesso, mentre ad esempio negli Urali e in Siberia è la mancanza di dosi a dissuadere i cittadini dalla necessità di vaccinarsi.

Un terzo dei medici (31%) aderisce alla campagna di vaccinazione, il 38% afferma di aver già assunto il preparato mentre il 23% non intende farsi vaccinare. In quest’ultimo caso, tra i motivi principali della riluttanza espressa nel sondaggio prevalgono la sfiducia verso prodotti messi in circolazione «troppo in fretta e senza ricerche cliniche adeguate» (52% degli intervistati), le «informazioni insufficienti sugli effetti a lungo termine» (50%), la malattia già superata (46%) e le controindicazioni generiche (20%).
Sono comunque numeri ben diversi da quelli del sondaggio Levada del febbraio scorso, da cui risultava che il 62% della popolazione non si sentiva «pronta» al vaccino.

Per quanto riguarda l’obbligatorietà della vaccinazione per il personale sanitario, dal sondaggio risulta che la maggior parte dei medici ha deciso volontariamente di vaccinarsi, e solo il 14% ha segnalato pressioni da parte delle amministrazioni ospedaliere.

Dal punto di vista scientifico, il 57% degli intervistati ritiene che il covid-19 sia un prodotto di laboratorio (opinione condivisa dal 64% dei cittadini), al contrario il 28% lo ritiene di origine naturale e il 15% – probabilmente coloro che hanno a disposizione dati delle riviste scientifiche internazionali – non è in grado di esprimere un parere certo.

 

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