È stato molto istruttivo leggere sui quotidiani e i settimanali come deve comportarsi il buon cristiano, specialmente il ciellino. Qui proviamo a mettere in fila una specie di rassegna stampa, pensosa e meditabonda, cercando di attingere insieme lo stile da elegante scorticatore di pinguini di Ezio Mauro con quello di Beppe Severgnini, il quale prima di scrivere intinge il ditino nella cipria.
Cominciamo dalla citazione più importante e seria. La lettera di Alberto Savorana, capo ufficio stampa di Comunione e Liberazione, pubblicata sul Corriere della Sera. Su quel quotidiano era apparsa una certa notizia (notizia?). Vediamo come la sintetizza Antonio Di Pietro in una interrogazione presentata al ministro dello Sviluppo economico: «Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera del 26 aprile 2012, nell’inchiesta sulle commesse ottenute all’estero da Finmeccanica ci sono nuove accuse che i magistrati devono verificare. Esistono sospetti sull’amministratore delegato Giuseppe Orsi, indagato per corruzione internazionale e riciclaggio, sulla sua gestione di AgustaWestland e su nuovi possibili beneficiari dei suoi finanziamenti: (…) Comunione e Liberazione».
Insomma, ti impiccano al palo più alto, anzi ti inchiodano davanti all’universo, in nome di «sospetti» da «verificare». «Corruzione internazionale e riciclaggio»! Sei già morto, la tua reputazione sprofondata, tanto più che questa notizia (notizia?) non arriva solitaria, ma è stata covata, accarezzata al calduccio come un uovo di serpente perché coi dentini rompesse il guscio e avvelenasse il lettore. Scrive Savorana: «Oggi leggiamo sui giornali l’incredibile accusa di tangenti Finmeccanica a Cl… Quali saranno le conseguenze sull’opinione pubblica?… Il peso di menzogne contro un’esperienza che tanti – anche autorevolmente – riconoscono come “una risorsa per il nostro Paese” sta assumendo il volto di un calvario che sinceramente pensiamo di non meritare».
Si noti la tecnica di Di Pietro. Mostra in poche righe cosa sta accadendo. Con il suo linguaggio da toga torturatrice riflette perfettamente la lezione dei suoi amici cronisti di giudiziaria e di qualche ex collega pm che gli ha passato la roba. In un atto della Camera dei deputati il quale resterà inciso sulla pietra delle istituzioni per saecula saeculorum, il leader dell’Idv chiede chiarimenti al ministro sull’ipotesi riferita dal Corriere a proposito della rivelazione di un tale, ma è tutta da verificare ci mancherebbe, per cui si sospetta di Comunione e Liberazione, ma non sappiamo se sia vero, ci penseranno i magistrati, e pare ci sia di mezzo riciclaggio, corruzione internazionale.
Il ministro non può rispondere, non è il suo ramo, ma intanto le parole fintamente sussurrate sono sassate, linciaggio mediatico che diventa istituzionale. E se ti capita di essere un partito o un uomo politico sei già tramortito, ti accusano di tutto, anche del colore delle mutande, e in fondo ci sta nel gioco sporco del potere. Ma se sei un movimento che vuole educare le persone al senso religioso, che dici? Come puoi difenderti? Puoi dire solo come Savorana: «È incredibile».
Intanto sul Fatto quotidiano, per la penna di Marco Lillo, c’è un salto di qualità. Le accuse sono «tutte da provare», Lillo è meno malizioso dei colleghi del Corriere ma avvicina meglio il colpo. Comunione e Liberazione è definita «movimento politico-religioso». Sottile spostamento di essenza, mutazione di identità per rendere credibile l’incredibile. E qui è il calvario, ti portano su, non puoi scendere, al massimo puoi sperare in una parola gentile del buon ladrone. Ed io come politico (?), uomo della casta e dunque ladrone a prescindere, qui lo giuro: «Io me lo merito, ma quello che inchiodate qui accanto non ha fatto niente. Fa solo del bene». Come si noterà ho evitato di citare troppo il Vangelo, anche se mi farebbe comodo sentirmi dire che oggi-sarai-con-me-in-paradiso.
Polvere di stelle da Severgnini
Scusatemi, ma non è facile ridere e scherzare mentre si sta sul Calvario. Ahia, mi rendo conto adesso. Ho scritto Calvario, per di più maiuscolo, dunque ho evocato Gesù, e per di più fuori contesto, evidentemente tirandolo dalla nostra, dalla parte dei ciellini, e coinvolgendolo in risate inopportune, anche se numerose barzellette sul buon umore del Nazareno persino in quella circostanza ci perseguitano sin dai tempi dell’oratorio, e ce ne scappa ogni tanto qualcuna, con il risultato di meritarci le reprimende scandalizzate di Beppe Severgnini e di altri teologi.
Picchiano i chiodi e si scandalizzano, fantastico. Martellano e poi scassano i nostri umanissimi zebedei perché siamo portati a citazioni evangeliche. Però anche i ciellini hanno un cuore e una mutanda. Ma non quella lì. Non quella attribuita a Roberto Formigoni. Ecco, giuriamo insieme con il Fatto quotidiano, che in prima pagina l’ha esposta alla costernazione del popolo: noi non indossiamo assolutamente e lanciamo anatema contro il ridicolissimo slip color cravatta di Fini che l’Espresso ha pubblicato per mostrare che Roberto Formigoni un giorno camminò sulla spiaggia dell’isola di Anguilla. Tra il Trota e l’Anguilla qui siamo alla pesca miracolosa del pirla. Non ci sono reati, ma va rosolato, possibilmente cannibalizzato dai pescecani.
Colpiscono, tra gli squali, i dentini gentili di Beppe Severgnini. Sto citando una potenza vera. Su Twitter ha circa trecentomila persone che lo seguono momento per momento. Le sue parole esaltano o feriscono perché sono fini come polvere di stelle, leggere come escremento di microbo: penetrano dove state pensando.
L’articolo è apparso sul Corriere il 25 aprile. Ce l’ha con Formigoni, con la tecnica del dolore malcelato. Non lo accusa di narcisismo perché lì Roberto è un dilettante rispetto a Beppe. Ma gli imputa la colpa più grave che esista. Severgnini fa il Savonarola da sala da tè, infila il cucchiaino d’argento della sua zuccheriera nell’occhio, così perché gli viene. Scrive che chi «usa vessilli cristiani, poi, è ancora più triste… L’importante è la meta! ci sentiamo ripetere. Ma neppure Machiavelli ha scritto la frase “il fine giustifica i mezzi”: figuriamoci Gesù Cristo. “Anche lui ha sbagliato collaboratori”, ci sentiamo dire. Una chiamata di correo che lascia senza fiato. Ma ormai in Italia la religione è diventata, per molti, una tessera, una clava e una chiave: utile per riconoscere gli amici, tener lontani i nemici ed entrare dove serve. E poi qualcuno si stupisce delle chiese vuote?».
Il peso morale di Riotta
Il secolarismo, l’avanzata del nichilismo, le chiese vuote, perché Formigoni è andato in vacanza ai Caraibi, pur essendo cristiano dichiarato? Ha osato una volta dire che persino Gesù sbagliò un collaboratore, e Severgnini addirittura dice che chiama Cristo a complice. Più semplicemente ha ripetuto un battuta di Enzo Biagi, che chiese a Berlusconi: «Non è una domanda provocatoria, capitò perfino a Gesù. Non pensa di avere in passato fatto qualche sbaglio nello scegliere la compagnia?» (Enzo Biagi, Il fatto, Rai Uno, 13 dicembre 2000). Questa teologia un tanto al chilo di borotalco fa impressione.
Sulla Stampa si esercita sul tema Gianni Riotta, il quale a suo tempo riconobbe lealmente di essere una specie di gemello di Beppe Severgnini. Anche lui spiega chi dovrebbero essere i ciellini. «Devono rispondere, all’opinione pubblica, a don Carrón, a chi al movimento crede e per esso spende le migliori energie e speranze, della vistosa contraddizione aperta tra stili di vita di uomini pubblici, primo il governatore della Lombardia Roberto Formigoni e i suoi intimi, e gli ideali di don Giussani». Ancora: «Ai suoi leader può sembrare ingiusto, eccessivo, ma chi ha un futuro santo per fondatore, non un segretario o un intellettuale, ha uno status morale più grave da provare. È duro, è difficile, ma questa è la scelta di Giussani». Qui è tutt’altra cosa rispetto al gemello. Si vede che c’è stima. Ma c’è una cosa che in questa teologia non va bene. L’idea che se uno è cristiano diventa un super-uomo con una morale più alta. In realtà uno è più facile che diventi cristiano se è consapevole di aver bisogno mille volte del perdono. Come si fa a non capire? Semmai il cristiano ha più dolore se sbaglia perché ferisce un Dio che muore per lui. Ma meglio non si è senz’altro.
È questa la tragedia del nostro tempo: partire da una mutanda rosa dei Caraibi, da ricevute assenti di vacanze, dalla presunta corruzione di qualche amico per arrivare a distruggere la fonte di una speranza per tutti, imponendo pesi enormi sulle spalle di chi prova a farsene eco, invece che interrogare se stessi. Ratzinger prima di essere eletto papa scrive della «necessità della fede a dover affermarsi, nella sua stessa essenza, attraverso la rete dei fini politici. (Come la fede), dal momento in cui entra nella storia, si mescoli con tutte le debolezze dell’uomo». «L’audace balzo verso l’infinito, che la fede significa, si realizza solo tra le piccinerie umane». C’è grandezza in questo balzo. Ma l’uomo «resta miserabile». Aggiunge il futuro papa (il tutto sta in Introduzione al cristianesimo, Queriniana, pagina 78): per questo «la fede ha e deve avere a che fare con il perdono; la fede intende orientare l’uomo a riconoscere di essere la creatura capace di ritrovare se stessa solo nel ricevere e accordare a sua volta perdono, bisognosa di perdono persino quando si trova nelle condizioni migliori e più pure». Piccinerie di tutti: di me che ora scrivo, di Formigoni, ma anche di chi scrive di Formigoni.
Una sorgente di bene
Ed Ezio Mauro, direttore di Repubblica, che pure con genialità riconobbe essere Comunione e Liberazione la via italiana al cattolicesimo, cerchi di non soffocare per scopi politici la fonte di speranza che un giorno colse in ciò che veniva da don Giussani per l’Italia e per il mondo, e forse anche per se stesso. E comunque qui chiediamo perdono se abbiamo occluso per il 10, per il 20 o per il 90 per cento quella sorgente. Ma basta una goccia, giuro, per rivivere.