I bulldozer del Giudizio

Di Leandro Sperduti
21 Febbraio 2017
C’è qualcosa di più della cieca furia iconoclasta dietro l’accanimento dell’Isis sulle vestigia assire. Qualcosa che ha a che fare con le Sacre Scritture
A security guard poses for a photograph in front of a wall carving at the remains of the Palace of Namrod al-Kalih built by the Assyrian King Assur Nassirpal II who reigned from 883-859 BC in Namrod, Iraq, north of Mosul, Saturday, 20, December, 2003. Many archeological sites in Iraq were either damaged or looted following the collapse of the Iraqi regime. carving at the remains of the Palace of Namrod al-Kalih built by the Assyrian King Assur Nassirpal II who reigned from 883-859 BC in Namrod, Iraq, north of Mosul, Saturday, 20, December, 2003. Many archeological sites in Iraq were either damaged or looted following the collapse of the Iraqi regime. EPA/SHAWN BALDWIN

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Gli atti distruttivi compiuti dai combattenti dell’Isis ai danni del patrimonio storico e archeologico del Vicino Oriente sono ormai ben documentati e conclamati. In Siria la devastazione e l’abbattimento dei monumenti dell’antica Palmyra ha destato lo sdegno nell’opinione pubblica di ogni parte del mondo e ha rappresentato per i terroristi un’autentica sfida al mondo occidentale e alla sua cultura. C’è però un ambito in cui la furia iconoclastica dello Stato islamico è sembrata accanirsi con particolare violenza, ed è la letterale cancellazione in Iraq delle antiche città e siti archeologici legati al popolo degli Assiri. Per le modalità, la minuzia e l’attenta propaganda che le ha accompagnate, queste distruzioni hanno avuto un carattere del tutto particolare e sono state presentate come una vera e propria “missione spirituale”.

A parte qualche iniziale e sporadica azione dimostrativa da parte di singoli gruppi di terroristi, la devastazione degli antichi edifici e dei musei è stata da subito, per l’autoproclamato Stato islamico, una delle prime fonti di finanziamento, grazie al saccheggio di opere d’arte e reperti da piazzare sul mercato illegale internazionale. Risulta per questo alquanto strano che, seppur ricche di rilievi e sculture, le capitali storiche del popolo assiro siano state invece letteralmente rase al suolo con l’ausilio, oltre che di esplosivo, anche di mezzi meccanici. Fin dal gennaio del 2015, a soli sei mesi dalla proclamazione del nuovo Califfato da parte del loro leader Al-Baghdadi, i combattenti dell’Isis hanno indignato il mondo accanendosi contro le rovine dell’antica Ninive, la più vasta e gloriosa delle città assire, che fu anche l’ultima capitale del loro vasto impero.

Gruppi di terroristi barbuti e vestiti di nero, a colpi di martello pneumatico, hanno sgretolato quasi completamente i grandi lamassu di granito, cioè i tori androcefali che ne fiancheggiavano le porte a simboleggiare la protezione divina. Si trattava di opere che, sul mercato clandestino, avrebbero avuto un enorme valore anche se danneggiate, eppure non se ne è risparmiata la distruzione. Si disse, all’epoca, che la furia dei distruttori fosse motivata dall’eliminazione di simboli e idoli pagani, ma va notato che in altre circostanze la cosa non sembrò destare altrettanto fastidio.

Ninive e l’Armageddon
Nel marzo dello stesso anno, con uguale ferocia e determinazione, i fondamentalisti islamici hanno distrutto anche la città assira di Nimrud, che nel IX secolo a.C. era stata capitale del grande re Assurnasirpal II. I bellissimi bassorilievi dei suoi palazzi sono stati frantumati a colpi di mazza e le mura in mattoni crudi addirittura spianate con una colonna di bulldozer. In pochi mesi l’archeologia assira è stata privata dei suoi siti più rappresentativi e l’Iraq ha perso due dei suoi tesori storici più importanti. Dietro questo accanimento sembra esserci qualcosa di più della cieca devastazione mostrata altrove dagli stessi militanti dello Stato islamico, che paiono agire in modo selettivo. Hanno ignorato del tutto, ad esempio, l’importante sito di Khorsabad, a soli venti chilometri da Ninive, un’antica città che, seppur fondata dagli Assiri, raggiunse il suo apice solo molti secoli dopo sotto i Sasanidi. Lo stesso dicasi per le antiche Tarbisu, Hassuna e Hatra, dove si sono registrate solo poche distruzioni di sculture.

Le ragioni di queste scelte sono forse da ricercare addirittura nelle Sacre Scritture. Nella Bibbia gli antichi Assiri sono considerati il popolo più forte e spietato del Vicino Oriente, artefice non solo della conquista di un vasto impero, ma anche dell’assoggettamento di alcune genti arabe e dell’esilio degli Israeliti. Le loro armate sono viste addirittura come uno strumento della collera divina e la loro dura repressione come prova messa da Dio a misurare la fede dei credenti. Nel libro del profeta Giona, la distruzione della loro capitale Ninive è un segno della nemesi divina e dell’imminenza del giorno del Giudizio.

Per i musulmani molte delle vicende narrate nella Bibbia hanno comunque valenza storica e ritornano nel Corano con analogo valore simbolico ed evocativo. Non sorprende dunque che, per i teorici della propaganda del sedicente Califfato, proprio gli Assiri siano diventati la forza storica con cui misurarsi e dalla cui distruzione trarre una qualche legittimazione storica. Cancellando le tracce del popolo assiro i combattenti dello Stato islamico se ne fanno, in qualche modo, i sostitutori e perfino continuatori, ritagliandosi un ruolo nella storia del mondo semitico e nella progressiva affermazione della vera fede.

Teste mozzate e gole tagliate
In quest’ottica, del resto, assumono un particolare significato anche alcune delle modalità adottate dai terroristi nel trattare i nemici sconfitti e le popolazioni soggette, in un processo di emulazione che potrebbe risultare perfino grottesco se non avesse risvolti tragici e terribili. I bassorilievi che decoravano un tempo i palazzi assiri celebravano con attenzione e dovizia di particolari le imprese e la gloria dei grandi sovrani conquistatori, dedicando particolare attenzione soprattutto alle scene di guerra e all’annientamento dei popoli sconfitti. Alcuni di questi rilievi sono stati distrutti dagli stessi militanti dell’Isis, la gran parte, però, è ancora visibile nelle collezioni di alcuni dei più importanti musei europei a seguito di una passata asportazione che, dopo esser stata a lungo criticata e biasimata, non poté rivelarsi più provvidenziale. Tra le immagini più ricorrenti ci sono quelle in cui i soldati assiri compaiono nell’atto di decapitare i nemici accumulando le loro teste in cataste e lunghe file nelle città conquistate, secondo una barbara consuetudine che è stata ampiamente ripresa proprio dai combattenti dello Stato islamico.

Lo stesso vale per le scene in cui i prigionieri sono sgozzati e gettati nei fiumi, in modo che il loro sangue ne colori le acque, o sono arsi vivi nelle loro case date alle fiamme. Tutte scene tragiche e terribili che, dalle antiche lastre di pietra, sono passate a riempire i moderni notiziari e a cui i fondamentalisti ci hanno purtroppo abituato. In questa assurda continuità storica, perfino i proclami e le rivendicazioni emanate dal sedicente Califfato suonano alquanto simili ai panegirici trionfalistici espressi dagli antichi sovrani assiri e trasmessici dalle tavolette cuneiformi e dalle epigrafi. Ci piace credere che secoli di storia e le conquiste dell’età moderna ci abbiano affrancato dalle mostruosità e barbarie del più oscuro passato. Alcune delle vicende degli ultimi anni, però, ci hanno dimostrato quanto, almeno nelle regioni dell’antica terra d’Assiria, le cose non stiano davvero così.

L’autore è archeologo e collaboratore presso il Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università di Roma “Sapienza”

Foto Ansa

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