Humala, il candidato di sinistra vicino a Chavez, è presidente del Perù
I risultati definitivi o quasi arriveranno nel corso della giornata odierna, ma il risultato del ballottaggio delle elezioni presidenziali peruviane si può dare per certo: il candidato nazionalista di sinistra Ollanta Humala ha sconfitto di misura la rappresentante del centrodestra Keiko Fujimori, raccogliendo il 51,2 per cento dei voti contro il 48,8 dell’avversaria. I mercati finanziari, i governi delle Americhe e soprattutto gli abitanti di Lima e della lievitante classe media del Perù trattengono il fiato, in attesa delle prime decisioni del nuovo capo dello Stato, in particolare la scelta dei ministri economici del suo governo.
Si tratta infatti di vedere se l’immagine pragmatica, di sinistra moderata non ostile all’economia di mercato che l’ex militare ha saputo proiettare negli ultimi tre mesi della campagna elettorale troverà riscontro nei suoi atti politici, o se invece, a vittoria conquistata, si ripresenterà l’Humala che i peruviani avevano già bocciato alle elezioni del 2006: autoritario, indigenista estremista, legato a filo doppio al presidente venezuelano Hugo Chavez e al suo socialismo del XXI secolo.
Per arrivare alla presidenza Ollanta Humala ha modificato il suo programma elettorale quattro volte in cinque anni, l’ultima fra il primo turno dell’aprile scorso e il ballottaggio di domenica. Allora era arrivato in testa al plotone dei candidati, ma solo con poco più del 31 per cento dei voti. Il punto più controverso del suo programma, in quel momento, era la convocazione di un’assemblea costituzionale che avrebbe riscritto il Testo fondamentale per modificare, fra le altre cose, i termini della rielezione del presidente (oggi non sono ammesse rielezioni consecutive). Accusato di voler imitare il suo rinnegato mentore Hugo Chavez, che da dodici anni occupa la massima magistratura venezuelana anche grazie a “sapienti” riforme della Costituzione, Humala si è prontamente rimangiato quanto aveva proposto.
L’opera di ripulitura dell’immagine di quello che ora è il nuovo presidente del Perù non è stata affatto semplice. Da militare Humala è stato coinvolto in due tentativi di golpe e ha combattuto i terroristi maoisti di Sendero Luminoso con metodi drastici, massacrando e torturando civili che avevano la sola colpa di trovarsi nelle “zone rosse” dichiarate tali dall’esercito. Suo padre Isaac Humala, ex militante comunista, è stato il fondatore del Movimento Etnocacerista, un’organizzazione indigenista xenofoba, decisa a strappare il potere dalle mani dei peruviani ispanici e meticci per consegnarlo agli indios di sangue puro, ed è proprio grazie alla memoria del discorso paterno che Humala ha raccolto, nel 2006 come nel 2011, montagne di voti nelle comunità indie della Cordigliera, con la sola differenza che nel 2006 il riferimento era esplicito mentre nell’ultima campagna elettorale è rimasto sotto traccia. Lo stesso vale per l’appoggio politico e finanziario di Hugo Chavez, che cinque anni fa era stato rivendicato come un fattore qualificante e che stavolta è stato smentito e respinto dall’inizio alla fine.
A rendere presentabile Humala hanno provveduto soprattutto due persone: l’ex presidente brasiliano Ignacio Lula e lo scrittore ed ex candidato presidenziale peruviano Mario Vargas Llosa. Il primo in Perù ha inviato alcuni dei suoi migliori consiglieri e consulenti elettorali a sostegno del candidato di sinistra:Luis Favre e Valdemir Garreta, responsabili delle campagne elettorali del Pt brasiliano, eJoao Santana, esperto di marketing politico decisivo nella prima vittoria di Lula nel 2002. La strategia propagandistica di Santana è denominata “pace e amore”, ed è effettivamente la linea che Humala ha scrupolosamente seguito, proiettando l’immagine rassicurante di un leader politico dedito a ridurre le diseguaglianze e le ingiustizie sociali, ma allo stesso tempo desideroso di essere il presidente di tutti.
Invece Mario Vargas Llosa ha portato in dote a Humala il sostegno della borghesia illuminata; il premio Nobel per la letteratura ha fatto campagna per l’ex militare assicurando che, salito al potere, avrebbe promosso una più reale democrazia e non avrebbe messo in pericolo il boom economico peruviano, che dura dal 2004, con politiche populiste. Sulla sorprendente presa di posizione di Vargas Llosa (l’anno scorso lo scrittore aveva manifestato il suo appoggio a Sebastian Piñera, il candidato del centrodestra poi vincitore, alle elezioni presidenziali del Cile) può aver influito un dato autobiografico: nel 1990 il futuro Nobel per la letteratura aveva sfiorato la conquista della presidenza del Perù, sconfitto al ballottaggio da Alberto Fujimori, padre della candidata anti-Humala delle elezioni odierne.
Come Ollanta ha avuto il suo da fare per allontanare da sé i fantasmi del padre e del fratello Antauro (attualmente in carcere per un tentativo di golpe nel 2005), così Keiko ha dovuto continuamente lottare contro l’ingombrante ombra del padre, probabilmente il più popolare presidente peruviano nel suo tempo, ma anche quello che ha avuto la caduta più rovinosa: Alberto sconta una somma di condanne per reati gravissimi comprendenti complicità in omicidio, corruzione, usurpazione di funzioni, ecc. per un totale di 38 anni e mezzo di carcere. Ha cercato in tutti i modi di dimostrare di non essere mai stata complice degli atti politici del padre, compiuti quando lei aveva 20-25 anni e non era ancora impegnata in politica. Per lei ha cercato di garantire Hernando De Soto, il noto economista pluripremiato che lei avrebbe voluto come primo ministro o ministro dell’Economia in caso di vittoria, ma con successo solo parziale.
Le accuse di doppiogiochismo contro Humala si sono comunque accumulate fino alla vigilia del voto. L’ex ambasciatore degli Stati Uniti presso l’Osa (l’Organizzazione degli stati americani) Roger Noriega, simpatizzante di Keiko Fujimori, ha dichiarato in un’intervista che Humala avrebbe ricevuto finanziamenti elettorali pari a 12 milioni di dollari da parte di Hugo Chavez nel corso della campagna elettorale. Perù 21, un giornale di Lima, ha accusato Humala di aver accettato bustarelle dai narcos quando era militare (1992) per lasciar passare le “avionetas” della droga cariche di cocaina. Il narcotraffico è stato un tema abbastanza importante del dibattito elettorale: secondo le Nazioni Unite l’anno scorso il Perù è diventato il primo territorio del mondo per produzione di foglie di coca, avendo superato la Colombia che capeggiava la classifica. Con 120 mila tonnellate metriche, prodotte nelle tre regioni di Huallaga, La Convencion-Lares e Choquepira, il Perù da solo conta per il 45 per cento di tutta la coca prodotta nelle regioni andine. Da essa sono state estratte 300 tonnellate di cocaina, esportate attraverso i porti di Paita, El Callao (il porto di Lima) e Ilo nel sud, più traffici terrestri minori, per un valore totale di 2,5 miliardi di dollari. Una cifra in grado di inquinare la politica.
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