Telefonata a Obama, bacini, lovislove. È un Matteo Renzi di comicità quasi parossistica quello che celebra il «passo storico», il «ci ho messo la faccia», «ha vinto l’amore!». In verità, come non abbiamo mai smesso di ricordare qui, è facile tirare i rigori a porta vuota, avendo con sé le lobby arcobaleno di tutte le multinazionali americane, le macchine da guerra di tutte le televisioni, tutti giornali, Apple e Zuckerberg, i cinepanettoni hollywoodiani e le direttive europee, Obama e tutte le cancellerie occidentali. Ha vinto l’amore o hanno vinto i bulli?
Sia come sia, finalmente è finita, esclameranno gli italiani presi per sfinimento dagli spot arcobaleno infilati ovunque nell’intrattenimento televisivo e social network. E invece no. Finalmente “l’arma di distrazione di massa”, come a ragione l’ha chiamata il comunista Rizzo, è pronta per conseguire ulteriori “progressi civili”. Come protestano i missionari Lgbt, atteggiandosi col piagnisteo alla Cirinnà («ho un buco nel cuore per lo stralcio delle adozioni»), questa legge «è solo l’inizio». Insomma, la recita continuerà.
Però, come ha detto bene il senatore Sacconi, la Cirinnà emendata e approvata in Senato «miagola come un gatto, e se miagola non può che essere un gatto». Vale a dire, il matrimonio tra persone dello stesso sesso lo hanno portato a casa, anche se scritto in un altro modo (unioni civili). Vero, siamo ancora al modello base (rito davanti all’ufficiale civile, testimoni, anagrafe, reversibilità della pensione). Ma ha ragione Renzi a rivendicare il merito di aver spalancato la porta al pieno riconoscimento delle cosiddette “famiglie arcobaleno”. Step by step, è solo questione di messa a punto del provvedimento votato. Dalla fabbrica della Cirinnà maxiemendata esce una Cinquecento modello base ma già predisposta per l’inserimento di tutti gli optional. Nei prossimi passaggi alla Camera e con le prime controversie che verranno poste in tribunale agli amici di Magistratura Democratica, il modello base sarà completato di adozioni e di riconoscimenti familiari, ripulito dalle discriminazioni sul mancato riferimento all’obbligo di fedeltà coniugale ed esteso ai desiderata dell’avvocatura rainbow.
Dopo di che, non è stato un bel vedere il parlamento italiano in amministrazione controllata e l’inquilino di Palazzo Chigi in versione AD di un’assemblea di eletti dal popolo. Dopo tutto, stante la democrazia ancora formale, il premier non eletto dal popolo (ma alla guida del partito di maggioranza relativa in parlamento) avrebbe potuto almeno impegnarsi a fingere di rappresentare la discussione in seno al popolo e il Senato fingere di essere un’istituzione democratica rappresentativa del popolo.
E invece niente. Regole costituzionali stracciate, canguri, maxiemendamenti, accordi sotto banco. Il tutto, guidato dal Lider maximo, pur di evitare che si entrasse nell’argomento legge Cirinnà e pur di impedire che l’argomento fosse esaminato e discusso prima di essere approvato dal partito bulgaro e dalle sue stampelle alfaniane, casiniane e verdiniane.
Così, come in un Marocco appena appena monarco-parlamentare o in una democrazia da Grecia commissariata da merkelandia, a tracciare la via gregaria italiana all’attuale inquilino della Casa Bianca, ci ha pensato il solito, funambolico, veloce e cinico Matteo. Il nuovo Re di Roma. In effetti, è stato molto interessante trovarsi nella Capitale giovedi 25 febbraio, il giorno del “fatto storico”. Potevi misurare anche solo visivamente la distanza tra il Palazzo e il popolo. Tra un città che il degrado ha risucchiato nel Terzo Mondo, le vie formicolanti di povertà e immigrazione, Atac sgangherati, metropoli caotica di gente che deve arrangiarsi e sfangarla da sé nelle prime necessità (pulizia, servizi, sicurezza, tutto allo sbando). E invece quei Palazzi lì, del Governo e del Senato, abitati da personale politico modesto e benestante, completamente assorbiti dall’ansia di integrazione borghese, cinti d’assedio dalle televisioni euforiche di “modernità”, assuefatti all’ovvietà che “la storia è dalla nostra parte”, senza altri argomenti che “eravamo indietro”, “i tempi sono cambiati”, “ i costumi evolvono”. A raccontare dall’esclusivo punto di osservazione del centinaio di militanti Lgbt (veri e propri alieni rispetto alle decine di milioni di italiani che attendono ancora i diritti promessi alle famiglie da un Costituzione del ’48 che vanta la libertà di educazione, e non c’è ancora nel 2016; e il sostegno alle famiglie numerose, e non è mai esistito; eccetera), radunati davanti al Laticlavio per la recita dei diritti periclitanti, feriti, conculcati.
Un teatrino perfetto per l’assurdo di Ionesco, diventato improvvisamente la priorità numero uno nell’Italia dell’obitorio demografico e della disgregazione sociale. “Cattivi – gridava la recita arcobaleno fuori dal Palazzo – non ci avete dato i bambini; ci discriminate, ci appelleremo alla Giustizia”. E vabbé, è proprio vero che quando non si ha più timor di Dio e si è perduto ogni sentimento naturale e religioso della vita, non è che non si crede più a niente. Si crede a qualunque cosa. Tipo che erano millenni che il matrimonio tra due persone dello stesso sesso era lì ad aspettare di essere riconosciuto insieme al diritto di avere bambini prodotti secondo il proprio desiderio di laboratorio o di utero in affitto. Ecco, dopo millenni di discriminazione per colpa della natura matrigna e dell’uomo medievale, finalmente anche nella riottosa e papalina Italia sta manifestandosi quello che da sempre, la Storia, la Giustizia, il Diritto, l’Uguaglianza covavano sotto le ceneri di una umanità stolta e arretrata, e perciò happy day, bacini, lovislove, vi dichiariamo “marito” e “moglio”, “moglie e marita”. E che progresso la nuova religione, ragazzi!
Dunque, infine è andata come doveva andare, seppure l’AD di Palazzo Chigi abbia dovuto faticare a raddrizzare la partita dopo che s’erano messi di mezzo quegli scocciatori del Family Day. Riepilogando: dopo la forzatura d’autunno (per dare fiato alla sinistra Pd) del nuovo testo Cirinnà (similmatrimonio e stepchild adoption) portato in aula saltando l’iter parlamentare (la previa discussione in commissione) e l’obbligo costituzionale (articolo 72), trovandosi di traverso la piazza del Circo Massimo e, soprattutto, i sondaggi che danno gli italiani contro la Cirinnà, Matteo aveva specificato che lui era per la Cirinnà in formato integrale e però ben volentieri avrebbe lasciato libertà di coscienza ai suoi senatori. Intanto il furbastro si era approntato il piano B (maggioranza allargata ai Cinquestelle), dopo che il piano A (pioggia di poltrone a Ncd per “ammorbidire” Alfano), rischiava di non andare in porto. Battuto sul “canguro” dal “tradimento” dei Cinque stelle, da gran giocatore delle tre tavolette qual è, Renzi è rientrato alla velocità di Speedy Gonzales sul piano A, alla finta trattativa con Alfano e infine all’approvazione di un maxiemendamento in cui la pezza è, se possibile, anche peggio del buco che si è aperto con lo stralcio delle adozioni e il rimando alle decisioni della magistratura.
Un problema, serio, di psicoanalisi freudiana, si innalza poema d’amore e di diritti. Un film di buoni e ineffabili sentimenti conculcati da una folla di losche e crudeli famiglie di uomini e donne, diventa finalmente un colossal anche in Italia. Una legge ha finalmente rimesso sul binario un mondo sbagliato fin dalla sua creazione. E che finalmente ora si arrende alla passione suprema del complesso industriale di Obama, alle sentenze 5 a 4 dei giudici della Corte Suprema che riscrivono millenni di storia sbagliata, alle supreme “società più progredite del Nord Europa”. Infine, volete che ci rassegniamo a usare la formula che usano i grandi giornali e il bel jet set della gente che piace? Chiamare “marito” il convivente di Elton John? E “moglie” la compagna di Jane Lynch? No, grazie. Come promesso al Circo Massimo, ci ricorderemo. 2+2 continua a fare 4. E Ncd+Udc fanno il “risultato storico” di Matteo Renzi.
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