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Un tranquillo guastafeste. Luigi Brugnaro, l’uomo che agita la Laguna

Promette di liberare «l’ultima Stalingrado d’Europa» facendo propri i temi politicamente più scorretti del momento. Chi è il candidato che fa paura al potere rossoverde di Venezia

Caterina Giojelli
30/05/2015 - 3:30
Politica
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brugnaroArticolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) –Sulla prua sventola il Leone di San Marco. A bordo di un Celli del 1953 che solca il Canal Grande, Luigi Brugnaro non si piega al vento neanche per accendersi un toscanello. «La verità è che quando è caduto il Muro di Berlino, qui non si è sentita nemmeno l’eco», dice mentre il motoscafo rallenta e si inoltra borbottando in un dedalo di acque salate, calli e campielli. «Venezia è l’ultima Stalingrado d’Europa». Proprio qui, in questo “piccolo Stato” amato in tutto il mondo, c’è chi va ripetendo come un mantra che il Pd ha fallito: e a dirlo per primo non è stato l’imprenditore Luigi Brugnaro, patron di Umana e della Reyer basket, annunciando la sua corsa a Ca’ Farsetti con una lista civica che porta il suo stesso nome, bensì il presidente del Consiglio Matteo Renzi, a Venezia lo scorso 3 maggio. Lo hanno detto le primarie del centrosinistra, che hanno visto a marzo trionfare l’ex procuratore della Repubblica Felice Casson, sostenuto da Verdi, Sel e centri sociali, sul candidato in quota Renzi e sponsorizzato dall’ex sindaco Massimo Cacciari, Nicola Pellicani. Lo ha detto l’operazione Mose, scattata lo scorso 4 giugno, che non ha risparmiato l’ultimo primo cittadino Giorgio Orsoni (“il sindaco che vogliamo” era lo spottone del Pd alle amministrative del 2010), finito sotto processo con l’accusa di finanziamento illecito ai partiti dopo che è stata respinta la sua richiesta di patteggiamento.

Qui il Pd ha fallito, e da quasi un anno la città sconta i suoi peccati sotto l’egida del commissario prefettizio Vittorio Zappalorto e la pioggia di ordinanze, aumenti di tariffe, tagli e sforbiciate che si sono abbattuti su scuole, servizi sociali, esercenti, famiglie, perfino sui disabili, per far fronte a un buco da oltre 90 milioni di euro. «È il dato dello scorso aprile: a questi aggiungiamo gli sprechi delle partecipate, le sanzioni per aver sforato il patto di stabilità nel 2013 quando chi governava diceva che tutto andava bene, e per aver sforato il tetto anche nel 2014, quando il commissario era già arrivato e, soprattutto, i 35 milioni di sbilancio della spesa corrente: in altre parole Venezia continua a spendere più di quanto incassa e stavolta il Mose non c’entra nulla».
Il Celli si ferma a Cannaregio davanti alla Scuola Grande della Misericordia, l’imponente edificio sansoviniano di fine Cinquecento, affrescato dalla scuola del Veronese che per anni è stato la casa della Reyer basket e che Brugnaro, vistosi negare le fideiussioni dal Comune, ha appena finito di restaurare impegnando dieci milioni di euro di tasca sua. «Ed ecco cosa faremo noi», dice spalancando le porte dell’immenso centro polifunzionale libero dalle macerie di 30 anni di abbandono. «Qui dove il Pd ha fallito, noi ghea podemo far», sorride citando il suo slogan che allude al più noto “Yes we can”.

brugnaro-basketUn nome che forza il blocco sociale
Luigi Brugnaro è un abile narratore, pieno di umori e con un’innegabile visione strategica. Lo hanno presentato in tanti modi: il perfetto “homo renzianus” (del resto lo dice proprio lui, «le primarie non devono ingannare, Casson è una bravissima persona ma non esprime la maggioranza del Pd, ha votato contro il Jobs Act, in Parlamento ha votato no a tutte le riforme volute dal premier ed è sostenuto da una minoranza compatta e imperniata sui centri sociali»); il “Cacciari dell’anno 2015” (Massimo batté proprio Casson per un pugno di voti dieci anni fa); una candidatura civica e trasversale ai partiti; la risposta moderata e di buon governo al magistrato civatiano con il vizio della doppia poltrona (dieci anni che è in politica tuttavia Casson, seppure fuori ruolo per mandato parlamentare, non ha mai dismesso la toga, né rinuncia alla poltrona in Senato per concorrere a quella di primo cittadino). Una candidatura che spariglia le carte, insomma. Quando l’ha annunciata, il 21 marzo scorso, ha affidato la sua azienda Umana a uno staff qualificato e rimesso i suoi incarichi in Confindustria Venezia – che ha presieduto dal 2009 al 2013 – e nazionale, e da Expo Veneto. E ha chiarito, a chi lo voleva solo pedina dello scacchiere veneto, «io non sarò mai un politico. Non ho mai avuto una tessera di partito in tasca e il patto lo faccio solo con i cittadini. Farò il sindaco per cinque anni, devolvendo lo stipendio a un fondo vincolato per chi si trova in difficoltà».

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Troppa sicurezza? La pensava probabilmente così Casson il 9 maggio arringando i manifestanti del movimento No Grandi Navi sul palco a fianco di Tommaso Cacciari, il leader dei centri sociali e degli ambientalisti che vogliono allontanare la croceristica da Venezia. In quello stesso momento Brugnaro partiva a bordo di quattro rimorchiatori da Marghera per arrivare alla Stazione Marittima dimostrando che il canale Vittorio Emanuele, parallelo al ponte della Libertà e accessibile da Malamocco con la variante esterna all’isola delle Trezze per non interferire con il traffico commerciale, «c’è già ed è la soluzione migliore per mantenere alla Marittima il ruolo di “home port”, dove approdano le navi che non si limitano alla “toccata” ma si appoggiano al porto per i rifornimenti oltre che per far partire e arrivare le migliaia di passeggeri provenienti da tutto il mondo, con i relativi bagagli. Solo così possiamo salvaguardare 5 mila posti di lavoro e un settore strategico per la città che qualcuno, sotto l’egida dei no global, sembra aver già promesso a qualcun altro: mentre siamo qui, Debora Serracchiani a Trieste sta festeggiando i primi contratti con le compagnie in fuga dalla laguna».

Mentre Casson diserta più di qualche confronto pubblico, Brugnaro, al contrario, sembra non averne mai abbastanza. Cinquantatré anni, padre di cinque figli, vanta il senso pratico per le cose minute di mamma Maria, maestra elementare, e lo spirito libero di papà Ferruccio, operaio, leader sindacale della Cisl e poeta di fama internazionale. Ha iniziato a prendere le misure lavorando sin da ragazzo, come quando passava l’antiruggine sui cancelli della sua cittadina natale, Mirano, o faceva il cameriere nei ristoranti della laguna, per iscriversi all’Istituto di Architettura di Venezia dove si laurea con il massimo dei voti.

Dalle pantegane ai play off
Nel 1997 fonda un’agenzia per il lavoro – chiamata Umana, perché «la persona è al centro» – che in pochi anni diventa leader del settore, con 124 filiali in Italia, 750 dipendenti diretti e 12 mila persone occupate nelle migliori aziende italiane. E poi, ancora, una holding che oggi raggruppa 20 aziende attive nel campo dei servizi, della manifattura, del terziario, dell’agricoltura e, naturalmente, dello sport. Quando nel 2006 rileva la Reyer, la storica società di basket fondata nel 1872, attorno vi gravitano diciassette persone e una ventina di pantegane grosse così che hanno preso possesso del palazzetto. La cura Brugnaro la porta a militare – caso unico in Italia – in serie A sia con la squadra maschile, arrivata ai play off scudetto, che con la squadra femminile, che quest’anno ha trionfato in Europa vincendo l’Adriatic League.

Per questo, insomma, e per quell’indignazione caratteristica del mecenate – tra le altre cose ha sostenuto la rinascita del teatro La Fenice con duecentomila euro a fondo perduto, dopo il rogo del 1996 – dopo aver sentito Casson presentare il suo programma qualificandosi orgogliosamente come «eretico» e richiamare i vecchi temi dei tavoli da aprire con il governo e l’Europa, la Legge speciale, Brugnaro ha comunicato ai suoi: «Basta con il blocco sociale che tiene sotto scacco la città da 20 anni». Ed è partito, confermando i rumors che da mesi lo volevano in campo. Ma lo ha fatto a modo suo, cominciando con l’inviare una lettera personalizzata a ciascuno dei 212 mila elettori, e sguinzagliando i suoi 164 candidati per la città, anzi, «le città di Venezia», come dice lui: Mestre, Marghera, Chirignago, Zelarino, Lido, Favaro Veneto, Pellestrina, le isole, Venezia e via dicendo.

Un porta a porta d’altri tempi per invitare tutti a chiudersi «in uno stanzone fino a Natale per avviare azioni immediate e fare fronte alle urgenze. Non presentatevi con i curricula perché vent’anni di Stalingrado ci lasceranno solo le macerie e l’occupazione non si costruisce con i decreti ma con anni di impegno e di fatica. Lo so perché è il mio mestiere, e vi garantisco che oggi il lavoro non c’è ma ci sarà. Mobilitatevi e insieme ghea podemo far».

La rivoluzione del buon senso
Ora, Brugnaro tutto questo lo dice seguendo le regole del buon senso comune, cosa che in una città che dal 1994 ad oggi ha perso 36 mila abitanti e tra i suoi 260 mila cittadini – di cui meno di 60 mila residenti nella Venezia insulare – conta un 12 per cento di immigrati e un 30 per cento di over 70enni, appare un affare tutt’altro che banale, anzi coraggioso.

Non pensa forse a questo l’operaio che si vede stringere la mano e rivolgere parole come «chi lavora riconosce la mano di un lavoratore, mentre in città c’è chi non ha mai lavorato un’ora o chi fa politica da quando io ero ancora all’università (come Gianfranco Bettin, candidato presidente alla Municipalità di Marghera, ndr)». O l’anziano, concordando che «abbiamo importato immigrati in nome dell’inclusione sociale senza avere gli strumenti per fare una vera integrazione. E abbiamo finito per mandare via i nostri figli e salutare i nipoti sullo schermo dell’iPad». O l’artigiano, costretto ad abbandonare Rialto annientato da tasse e ordinanze «lasciando ai turisti le maschere e i manufatti di vetro d’importazione cinese, una brutta copia di un documento dei tempi andati quando le signore trafficavano da queste parti con la borsa della spesa». O la mamma, che vorrebbe «poter scegliere come e dove educare e crescere i propri figli, non che il Comune scegliesse per lei. Per questo sconfiggeremo lo statalismo con la sussidiarietà, dando ossigeno all’iniziativa privata».

E gli imprenditori, stufi di norme «che non ci consentono di rilanciare Porto Marghera, un’area che fino agli anni Settanta e Ottanta dava lavoro a circa quarantamila persone e che oggi è sottoposta ai vincoli ambientali dei Siti di interesse nazionale. Sbloccheremo subito le bonifiche e attiveremo un’Agenzia di sviluppo del territorio che darà alla città metropolitana la sua interfaccia istituzionale per attrarre nuovi investimenti garantendo tempi, costi e procedure certi, per far sì che gli investitori non vadano altrove e che le nostre città tornino ad essere un luogo in cui crescere i figli e fare invecchiare i genitori». Non pensano forse queste cose tutti i lavoratori e non ultimi gli appassionati di sport «i cui valori –il talento, la fatica, il sacrificio, il merito – devono tornare a governare la città»? Lo sport è un paradigma e per questo il candidato sindaco promette «un voucher per i ragazzi che permetterà alle famiglie di scegliere tra le società sportive accreditate dal Comune secondo parametri etici».

Dice molto altro, Brugnaro. Sul rilancio del Casinò, «importante risorsa della città», l’accorpamento delle società partecipate, il collegamento ad alta velocità con Tessera e il Marco Polo (terzo aeroporto d’Italia), le ordinanze antiaccattonaggio e contro gli sbandati. Nega con forza la possibilità che venga introdotto un registro delle unioni civili o di un testamento biologico, giura di vigilare affinché «la strampalata teoria del gender e del genitore 1 e 2 cessi di passare in maniera strisciante nelle scuole e sulla testa delle famiglie che non sono state coinvolte in proposito». Non lo turbano le controversie, non contempla il silenzio tra le virtù cardinali, soprattutto quando gliela si fa sotto gli occhi, o meglio, sotto casa.

È il caso della chiesa di Santa Maria della Misericordia, accanto all’omonima Scuola Grande, trasformata con un blitz in moschea dall’artista Christoph Buchel per la 56esima Biennale d’Arte e ceduta alla comunità musulmana di Venezia ad uso religioso. Brugnaro si schiera contro la provocazione dei calzini appesi all’acquasantiera. E lo fa facendo molto rumore, senza guardare indietro – come quando lavorava con Marco Biagi e Massimo D’Antona e venne a sua volta minacciato dalle Brigate Rosse responsabili degli assassini dei due giuslavoristi –, senza scomporsi quando le forze dell’ordine lo avvisano che la sua sede elettorale (la chiama Punto comune, «un luogo di incontro e partecipazione») di Marghera è stata svaligiata.

Semplicemente continua a fare il massimo del politicamente scorretto – un altro modo per chiamare il buonsenso oggi – per spezzare la continuità con una gestione che rischia di far colare a picco la Serenissima. In questo, assicura pubblicamente al candidato grillino Davide Scano, «tu a Ca’ Farsetti sarai il mio più grande alleato». Il 22 maggio la chiesa-moschea chiude per inadempienze amministrative.

L’eco di queste elezioni
Venezia dall’alto della Scuola Grande della Misericordia è la cupola di San Marco, i muri saturi di salsedine e cultura, il coraggio di andarsene a cercar fortuna, i personaggi magnifici, i famosi caffè, i nati sull’acqua e i nati in terraferma. È anche «un pesce che puzza dalla testa», dice un motto che si sente pronunciare su argini dove avrebbero potuto sostare Foscolo, Tommaseo, Goethe, Thomas Mann o Hemingway. Ma i veneziani queste malinconie non le vogliono più sentire, e un fatto preciso, a prescindere da come voteranno il 31 maggio, resta ed è fuori discussione: Luigi Brugnaro, che non si china su se stesso nemmeno per accendersi un toscanello, è un avversario degno della più ostinata Stalingrado e chiunque parli di lui lo considera un guastatore maledetto.

E questo, a quegli italiani che pur non avendo versato la testa sui partiti non si riconoscono nella «deleteria genìa degli apolitici», come la chiamava Giovannino Guareschi, e si preoccupano per l’avvenire del paese – e votano di pancia e non di testa – dovrebbe far drizzare le orecchie. Come il Leone che garrisce sullo stendardo. Ben dritte le orecchie, sorride sornione e beffardo, reggendo tra le zampe il Vangelo di Marco e preparandosi a una nuova corsa, come quando galoppava sulle galee ad est di Creta, portando a casa seta e “schei”. Una promessa, una minaccia, una sfida? I veneziani risponderanno e la risposta, anzi il ruggito, potrebbe echeggiare forte, ben oltre la laguna.

Tags: felice cassongiorgio orsoniLuigi BrugnaroMassimo CacciariMatteo Renzimosèvenezia
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