La preghiera del mattino
I guai di un’Europa tutta tecnica e retorica e nessuna legittimazione politica
Su Startmag Pasquale Diana scrive: «Che farebbe la Bce se gli spread si allargassero molto? La percezione è che la Bce non voglia (non possa?) parlare di un nuovo strumento anti-frammentazione perché sarebbe fonte di divisione in un momento in cui c’è unità di intenti nel Consiglio direttivo. La Bce ha semplicemente ripetuto che intende usare i reinvestimenti del Pepp in maniera flessibile, tra i vari paesi e le varie asset class. La Lagarde aggiunge che la Bce sa come “disegnare e implementare” nuovi strumenti, se necessario. Bisogna ammettere peraltro che non è facile disegnare uno strumento che assomigli a un programma di acquisti per contenere gli spread in un momento in cui la Bce sta alzando i tassi. Quale aumento degli spread verrebbe visto come ingiustificato? Ci sarebbe condizionalità per beneficiare di questo strumento, e di che tipo? Cosa farebbe la Bce con la liquidità creata dallo strumento? Sono tutte domande su cui trovare un compromesso non sarebbe facile».
L’Unione Europea si trova ad affrontare una quasi guerra ai suoi confini sotto la guida di una Washington che non ha ben chiari gli obiettivi che vuol raggiungere e senza aver adeguatamente risolto i problemi di compattezza al proprio interno. Naturalmente tocca far di necessità virtù: sostenere la resistenza ucraina, cercare una via di uscita con i russi, mantenere la coesione possibile dell’Unione. Sarà possibile farlo poggiando sostanzialmente solo sulla retorica e la propaganda che ci viene quotidianamente offerta dal giornalista collettivo?
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Su Atlantico quotidiano Stefano Magni scrive: «Il giorno dopo, il Parlamento europeo ha votato a maggioranza una misura per vietare la produzione di veicoli con motore a combustione entro e non oltre il 2035, quindi fra soli 13 anni. Riprogrammare la produzione di veicoli di tutte le cilindrate, passando da combustili come benzina e diesel alle batterie elettriche, è come imporre una nuova rivoluzione industriale, a colpi di direttive politiche. Più che la rivoluzione industriale, infatti, questi piani europei ricordano il Grande balzo in avanti cinese, quando Mao si svegliò una mattina e decise che, per rispettare meglio i sacri testi di Marx, tutti i contadini dovevano diventare operai e quindi tutte le fattorie dovevano trasformarsi in acciaierie. Il risultato fu giusto una trentina di milioni di morti nella carestia che seguì questa industrializzazione accelerata imposta dal governo. In Europa, forse, non avremo altrettanti morti. Però in piena crisi economica post-Covid viene imposto un giro di vite alle imprese più produttive. Potenzialmente, in tutta Europa, avremo milioni di disoccupati. E sicuramente non basta la fogliolina di fico dell’emendamento “salva Ferrari”, passato grazie all’impegno degli eurodeputati italiani, che allunga i tempi, di pochi anni, per i produttori “di nicchia”».
Magni ci mette un po’ di enfasi, ma non mi pare irrealistica la sua analisi su un’Unione Europea che, non riuscendo a prendere decisioni realistiche, se ne inventa di retoriche a scadenza di un decennio e passa, che più che essere messe in atto, sono utili per la propaganda.
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Su Fanpage Annalisa Cangemi scrive: «“Il primo Recovery è stato fatto sul Covid, ora potrebbe essere la Difesa comune uno dei grandi temi che Macron vuole portare avanti”, ha detto Alain Minc, consigliere ombra del presidente francese. “Tutti sono preoccupati per il dopo Draghi”, ha spiegato, “e i mercati lo dimostrano già. L’Italia poteva permettersi giochi politici finché la Bce creava denaro ogni giorno. Se lo spread sale al 4 o al 5 per cento l’Italia non potrà più permetterselo. Un Recovery 2, con una maggiore integrazione dell’Eurozona, potrebbe blindare anche il rischio Italia che l’avvicinarsi delle elezioni fa temere”».
Subito dopo l’incontro tra Mario Draghi ed Emmanuel Macron, Minc, consigliere strategico del presidente francese, ha detto che cosa si augura Parigi. Gli auspici macronian-minchiani di una riconferma di Draghi alla testa di un esecutivo post 2023 spiegano bene la fragilità dell’Italia in campo internazionale, dove il prestigio dell’attuale presidente del Consiglio non basta a compensare la debolezza (vedi grano, gas, petrolio, Libia, catasto, impianti balneari, salario minimo, reddito di cittadinanza) di una Roma senza peso politico perché priva di una vera legittimazione elettorale. Ma oltre a quelle italiane, si colgono le debolezze francesi, dove Macron ha vinto le presidenziali spostandosi a sinistra e ora cerca di vincere le politiche appoggiandosi alla destra. Più in generale le difficoltà nostre e dei cugini d’Oltralpe ci parlano della fragilità di un’Unione Europea che, senza vera politica perché senza una vera costituzione e senza una vera legittimità popolare, pensa di cavarsela con le scelte tecniche intrecciate a quelle retoriche.
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Su Firstonline Vittoria Patanè scrive: «Lo sanno in pochi, dato che i partiti sembrano poco interessati a far campagna elettorale sul tema, ma domenica 12 giugno, lo stesso giorno in cui 978 comuni voteranno per le elezioni amministrative, si dovrà votare anche per i referendum sulla giustizia».
Domenica si vota per i referendum sulla giustizia e bisogna andare a votare sì. Se volete sapere perché, oltre alle ragioni ben spiegate sul sito di Tempi, potete consultare questo efficace quadro dei quesiti in ballo, presentato da Firstonline.
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