![Quello che non siamo. Quello che vogliamo](https://www.tempi.it/wp-content/uploads/2025/01/tempi-numero-zero-copertina-1995-345x194.jpg)
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Che ne abbiamo fatto dell’amicizia? Il tempo del Covid è una sfida imperiosa e sottile all’amicizia. Anche noi molokani ci siamo trovati, e ci troviamo, a sentire il calcagno sul collo del virus, con le disposizioni che impediscono di toccarsi, abbracciarci, mangiare insieme. Può resistere l’amicizia senza della quale non esiste popolo se ha per unico segno il collegamento Zoom? Come possiamo perseverare nell’unità se manca la carezza, la carezza fisica, il buon odore di Cristo, ci cui parla san Paolo, come si fa a respirarlo se è mediato dal computer? Aristotele sostiene che dei cinque sensi quello più importante è il tatto. Non so se sia vero, ma a me manca questa fisicità, carnalità, materialità… Ok, lo so, gli eremiti del deserto erano solitari, erano soli con il Solo, monaci cioè uno con l’Uno. Ma anche Dio è trino, credo che tra loro le Tre Persone come mostra il quadro di Rublëv, si siedano ogni tanto a mangiare insieme.
E allora? Penso questo: che l’amicizia oggi è chiamata al digiuno. Ma guai se il digiuno diventasse un’abitudine, un costume sociale, una teorizzazione dell’assenza: dal sesso virtuale che viene insegnato a profusione non nascono figli e neppure fiori.
Il rischio è questo. Accettare come ovvia e persino “ottimale” strada del futuro il lavoro “a distanza”, gli incontri “da remoto”, una vita zoomata insomma. Come la sostituzione del risotto con due pastiglie nutritive… Si può accettare nell’emergenza. Ma teorizzarlo è disumano. Tutto congiura a trasformare l’amicizia in una relazione sociale assolutamente non essenziale. Le restrizioni nei vari paesi non sono identiche, in Armenia sono parzialmente diverse che in Italia, ma ovunque, globalmente (come si usa dire adesso) il messaggio diffuso per Dpcm o ukaz è lo stesso: l’amicizia non è classificata tra le relazioni umane indispensabili all’uomo per essere sé stesso.
Mathieu Bock-Côté è un filosofo, peraltro assai polemista, canadese del Québec. Mi è giunto un suo ritaglio tratto da Le Figaro, e mi ha fatto sospirare. Si intitola “Les amitiés suspendues”, le amicizie sospese: «Una delle grandi vittime del Covid è stata l’amicizia, che (per fortuna) molti hanno osato praticare clandestinamente, quasi gesto di dissidenza contro gli eccessi dell’ordine sanitario».
Si può sacrificarla tranquillamente insomma. Una ben strana antropologia, dimentica che qualsiasi cosa eccezionale e propositiva che ha cambiato il mondo è sorta dall’amicizia gratuita, fuori da parentele di sangue, al di là di legami dove primeggi l’eros ma trionfi l’agape. Un esempio? Il cristianesimo. Ma anche la scuola socratica. Cenacoli si chiamano. «Non si tratta», scrive Bock-Côté, «di maledire i capi politici, ma di constatare che costoro non sanno cosa hanno calpestato». Essenzialmente hanno legato le trombe di Falloppio all’umanità rendendo impossibile la fertilità nel mondo. Lo Zoom va bene per l’emergenza ma non basta.
È l’esperienza a dircelo. Scrive e non mi vergogno di copiare traducendo: «Saul Bellow ha narrato, in quello che è uno dei migliori romanzi sull’amicizia, Ravelstein, la sua relazione con Allan Bloom. Era, in un certo senso, un’ode alla libera e allegra conversazione che si muove mentalmente dal seminario al banchetto alla taverna, e che è allo stesso tempo filosofica e grintosa, profonda e beffarda. Chi ama l’amicizia lo sa, la conversazione si schiude soprattutto nelle serate pantagrueliche. L’amicizia ruota attorno alla possibilità di un altro bicchiere. Quello dei pensieri che, finalmente, si possono confessare».
Ma li avete letti i giornali, avete ascoltato le idiozie filosofiche dei talk show? Chi sogna di riaprire ristoranti e caffè viene spacciato per uno spirito vacuo, come se ambisse scioccamente di fare il bagno in una vasca di variante inglese. Passa per il cretino che vuole divertirsi mentre l’umanità attraversa un terribile calvario. Non è di questo che stiamo parlando, ma di desiderare e trovare i luoghi che permettono all’amicizia di fiorire. Scrive il canadese con cittadinanza spirituale molokana: «Non è senza ragione che Chesterton ha cantato lo spirito del pub… Uomini e donne hanno bisogno di luoghi dedicati alla socializzazione che non siano sotto la sovranità familiare, né quella del lavoro. Questo è ciò che rende quindi possibile ricevere i propri cari amici nella propria casa».
Foto di Chris Montgomery per Unsplash
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