Green deal, in Europa aumentano gli scettici sull’obiettivo “emissioni zero”

Di Amedeo Lascaris
03 Luglio 2023
Il prestigioso think tank Bruegel critica la policy industriale messa in campo da Bruxelles con l’obiettivo di decarbonizzare l’industria europea. Cresce lo scontro interno all'Ue sulle tecnologie verdi
emissioni green deal

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A meno di un anno dalle elezioni europee che si terranno nel giugno 2024, l’Europa si sta ancora interrogando sulla reale portata e utilità del Green Deal Europeo, faro della Commissione guidata da Ursula von der Leyen e totem intoccabile ormai non solo per gli attivisti verdi.

Gli obiettivi irraggiungibili delle “emissioni nette zero”

Approvato nel 2020 in piena pandemia di Covid-19 e tarato per consentire ai Paesi di riprendersi dalla crisi senza però rinunciare alla lotta ai cambiamenti climatici, il Green Deal si è dovuto riadattare a nuovi e più pericolosi scenari derivanti dall’invasione russa dell’Ucraina e della sempre più serrata competizione cinese. L’impianto è divenuto ormai una cornice per ogni policy proposta dalla Commissione europea, compreso il suo Next Generation EU, che in Italia si è tradotto nel famigerato Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). L’ambizione di rendere l’Europa il primo continente neutrale dal punto di vista delle emissioni entro il 2050 ha fatto perdere di vista la fattibilità reale degli obiettivi e a scontri ideologici come quello sul nucleare.

Le voci critiche ormai giungono non solo dai partiti dell’asse conservatore, ma anche da corridoi sicuramente europeisti come il prestigioso think tank Bruegel, con sede a Bruxelles, che in un articolo dal titolo Rebooting the European Union’s Net-Zero Industry Act, scritto da tre analisti del centro studi, analizza le criticità di una delle direttive più importanti della politica industriale europea.

Gli autori dell’articolo mettono a confronto l’Inflation Reduction Act (IRA) degli Stati Uniti, i cui incentivi alle industrie “green” rischiano di erodere il sistema europeo, e il Net Zero Industry, la policy industriale messa in campo da Bruxelles con l’obiettivo di decarbonizzare l’industria europea e ridurre la dipendenza dalla Cina per tutte le tecnologie della transizione verde.

L’analisi del Bruegel: «Ridisegnare la NZIA»

Secondo gli analisti del Bruegel, l’ambiziosa Net-Zero Insurance Alliance (NZIA) è «sia fuorviante nei suoi obiettivi operativi che debole nei suoi strumenti, e quindi è improbabile che fornisca risultati significativi a meno che non venga ridisegnata radicalmente». Cinque sono gli aspetti problematici individuati: un approccio “dall’alto verso il basso” che seleziona tecnologie specifiche invece di uno orizzontale “tecnologicamente neutro”; un parametro generale del 40 per cento di autosufficienza produttiva entro il 2030 definito dagli autori “mal definito” e che non riflette le differenze di capacità all’interno dell’Ue; un approccio tendenzialmente concentrato sullo snellimento delle procedure di autorizzazione; un utilizzo inefficace dell’iniziativa statale per incoraggiare gli investimenti; la mancanza di una governance per la sua attuazione.

Altre questioni critiche individuate dagli autori sono la mancanza di un’analisi accurata degli ostacoli agli investimenti che sono legati ai fallimenti del mercato unico; l’assenza di un coordinamento al centro dello sviluppo di una politica industriale verde dell’UE; l’utilizzo degli aiuti di Stato come principale strumento di finanziamento con il rischio di frammentare il mercato unico in una nuova corsa ai sussidi che favorirebbe Paesi con ampia capacità di spesa, come la Germania, che nel frattempo – è bene ricordarlo – ha chiuso tutte le sue centrali nucleari.

Lo scontro interno all’Ue su emissioni e green deal

Il tema del trattamento delle cosiddette tecnologie green ha già innescato uno scontro fortissimo all’interno dell’UE ripetendo quello avvenuto per il pacchetto Fit for 55, mirato a ridurre le emissioni nette di gas serre di almeno il 55 per cento entro il 2030 che favorito in modo verticale il motore elettrico a scapito di quello termico anche se alimentato da carburanti cosiddetti green.

Lo scontro più serrato riguarda il futuro del nucleare, ambito in cui la Francia vanta un primato a livello europeo. La NZIA non considera il nucleare tra le fonti strategiche, pur inserendola come fonte a zero emissioni, favorendo solare, eolico ed elettrolizzatori, tutte tecnologie su cui al momento la Cina vanta un primato praticamente assoluto.

La Francia sta portando avanti una battaglia serrata contro questo approccio e si sta portando dietro, oltre ai Paesi dell’Europa centrale e orientale, una serie di Stati come il Belgio, che di recente ha deciso di prolungare la durata dei suoi due reattori nucleari per altri 10 anni, ma potenzialmente anche la Spagna, con la destra che in caso di vittoria potrebbe aumentare la vita dei suoi sette reattori nucleari in funzione, che insieme rappresentano circa il 20 per cento della produzione di elettricità del Paese.

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