Il 10 dicembre si terrà all’interno di Performance d’autore, promosso da Diesse Firenze e Toscana, il convegno “Grazia Deledda, ‘Da una muraglia nera una finestra azzurra’”. Iscrizioni aperte fino al 5 novembre.
«Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano». Con questa motivazione, il 10 dicembre 1927, viene assegnato il premio Nobel per la Letteratura a Grazia Deledda. 150 anni dopo la sua nascita, i diversi eventi che celebrano la ricorrenza insistono particolarmente sul fatto che sia stata la prima donna italiana ad ottenere questo riconoscimento internazionale. Forse risulterà impopolare, allora, il mio tentativo di spostare l’attenzione da questa rivendicazione “di genere” (in tempi in cui la questione, di indubitabile importanza, rischia di essere assorbita da qualunquismi di tendenza), per tornare, invece, alle parole dell’Accademia di Stoccolma. “La vita quale è” … “problemi di generale interesse umano”.
Diceva Tzvetan Todorov (da La letteratura in pericolo): «La letteratura ci aiuta a vivere […] Quando mi chiedo perché amo la letteratura, mi viene spontaneo rispondere: Perché mi aiuta a vivere … Più densa, più eloquente della vita quotidiana ma non radicalmente diversa, la letteratura amplia il nostro universo, ci stimola a immaginare altri modi di concepirlo e organizzarlo. Siamo tutti fatti di ciò che ci donano gli altri: in primo luogo i genitori e poi quelli che ci stanno accanto». Per leggere, nel senso autentico di questo verbo, le pagine di Grazia Deledda, occorre aprire le porte al dono della sua narrazione con la chiave suggerita da Todorov, ovvero disporci ad un “interscambio continuo fra le esperienze della vita e le esperienze della lettura”.
Scuola alla scuola
Performance d’autore cerca di proporre agli studenti delle scuole superiori e ai loro insegnanti proprio questo tipo di esperienza: una mattina di dialogo con un grande autore, che sia occasione per vivere in maniera diretta la letteratura e, per suo tramite, vivere meglio la nostra quotidianità.
Ed è possibile questo, di fronte ad un mondo così particolare, così insistentemente sardo? È possibile guardare a quelle montagne granitiche, a quei paesaggi aspri senza essere figli di quella “appartata isola”? Sì: sì, se lasciamo che quei romanzi e quelle novelle amplino il nostro universo, siano per la nostra persona un dono capace di farci incontrare quella profondità umana scandagliata dalla scrittrice nuorese.
“La vita quale è” sarà allora quella di Lara, tormentata protagonista del romanzo Fior di Sardegna; di Elias, secondo dei tre fratelli Portolu che torna a Nuoro, dopo aver scontato una condanna in un carcere del “continente”; o ancora di Olì, giovane madre costretta ad abbandonare suo figlio. Gli esempi potrebbero essere innumerevoli, perché tali sono i personaggi che popolano il mondo deleddiano, estremamente vari per età, condizione sociale, aspetto. Un mondo che è sardo, una Sardegna che si fa mondo. Leggere le loro storie significa scoprire che esiste, profonda e radicata, quella cifra che li accomuna: ed è il cuore, quel cuore che è la sola cosa necessaria all’uomo, il solo “rimedio” di cui l’uomo necessita, “null’altro”.
La donna che amava leggere
Se Grazia Deledda non avesse allenato la capacità del suo cuore ad accogliere la realtà, in tutti i suoi aspetti, compresi quelli granitici, aspri come le rocce dei suoi monti, non avrebbe potuto aprirsi al desiderio di conoscenza, al sogno della scrittura. La “piccola scrittrice”, leggiamo nell’autobiografico “Cosima”, provava un “senso di ostilità istintiva … per ogni genere di studi libreschi, a meno che non fossero romanzi e poesie”.
Crebbe tra gli amici del fratello, “quasi tutti studenti mancati, che ai tormentosi fasti del vocabolario preferivano quelli della fisarmonica, e l’Odissea se la creavano da sé prendendosi a pugni per qualche bella Elena paesana e poi riconciliandosi in banchetti ove le ossa degli agnelli arrostiti alla viva fiamma si ammucchiavano ai loro piedi come sotto le mense degli eroi di Omero”. Così legge, vive, e fa rivivere nelle sue storie grandi classici della letteratura internazionale, sui quali si è formata da autodidatta, in un contesto in cui la donna che amava leggere veniva guardata con sospetto.
Dolore e pietà
“Lei ardeva tutta di desideri di volo, di più vasti orizzonti”. Immergersi nell’universo deleddiano non equivale ad accostarsi ad una realtà regionale, limitata ai suoi confini naturali. Oltre “la muraglia nera” che è fatta delle solitudini, dei limiti, del malessere di ciascuno di noi, si apre quella “finestra azzurra” cui siamo invitati ad affacciarci.
La letteratura ha questo potere: ci dà la certezza che per l’uomo esiste un orizzonte di azzurro, spesso colorato di mistero, cui però possiamo disporci; la narrativa di Grazia Deledda ha questo potere: figura allo sguardo dei lettori uno spazio che non annulla il male, non spazza via il dolore, ma lo inscrive in un senso di pietà che lo sublima.
Performance d’autore
Le voci che animano l’immenso spazio della letteratura sono davvero molto numerose; la scuola tradizionalmente ne privilegia alcune, quelle un tempo inscritte nei “canoni” dei famigerati programmi, ma è sempre più avvertita, persino con urgenza, la necessità di ascoltare anche autori e autrici, non meno “grandi” di altri.
Così Performance d’autore ha proposto in quindici anni importanti occasioni di formazione grazie alla lettura di Pratolini, Gadda, Fenoglio, Sciascia, per citarne solo alcuni; il 10 dicembre, alla sua sedicesima edizione, a parlarci saranno le pagine di Canne al vento, quelle della raccolta Il cedro del Libano ed altre, con le quali studenti e docenti avranno avviato un confronto personale e condiviso.
“La scrittrice, la poetessa, la creatura delle nuvole” (così la Deledda parla della giovanissima Cosima) attende di essere ascoltata, magari anche criticata, discussa, proprio come accade quando, per dirla ancora con Todorov, la letteratura ci fa conoscere quella realtà “che è semplicemente (ma al tempo stesso, non vi è nulla di più complesso) l’esperienza umana”.