Il gran gala del Cav della Mangiagalli. Porte aperte «a tutti i milanesi che amano la vita»

Di Benedetta Frigerio
12 Settembre 2014
A colloquio con Paola Bonzi che da trent'anni aiuta le donne in difficoltà a non abortire. È vero che «il bene non si misura», ma passa sempre «dentro gesti concreti che in mancanza di denaro non si possono compiere»

«Ci sentiamo più tardi perché ho qui la Franceschina che avrebbe bisogno di amici, vero stella?». Francesca (nome di fantasia), 28 anni, scoprirai poi, è solo una delle tante figlie di una solitudine più diffusa. «Sono quelle circondate da persone che magari chiamano amici, eppure sole dentro, come quasi tutte le donne che vogliono abortire». E è a loro che Paola Bonzi, tenace direttrice da trent’anni dello storico Centro di aiuto alla vita della clinica Mangiagalli di Milano, l’unico con sede interna a un ospedale, vuole continuare a ricordare ancora che «quel figlio è sempre un dono, una compagnia».

IL “TORNACONTO” DELL’AMORE. Ecco perché Bonzi ha deciso di non mollare di fronte alla mancanza crescente di fondi statali e alla riduzione di quelli regionali, e di organizzare un gala di beneficenza. «Ci stiamo lavorando da aprile – spiega – è quasi tutto pronto». Il 15 settembre alle 19.30 Palazzo Isimbardi aprirà le porte «a tutti i milanesi che amano la vita». Perché se è vero che «il bene non si misura», passa sempre «dentro gesti concreti che in mancanza di denaro non si possono compiere». E che per questa donna, che imparò il “tornaconto” dell’accoglienza fra le mura di una casa povera ma ricca di gratuità, la carità sia una carne non lo dicono solo i 17 mila bambini salvati con il suo aiuto, «ma ancora di più le lacrime, i volti, i cuori laceri che le loro mamme mi hanno offerto. Proprio come Francesca questa mattina che singhiozzando mi diceva: “Erano anni che non riuscivo a piangere”».

LA LEGGE DELLA CONDIVISIONE. Per Bonzi è di condividere la vita che «questo povero mondo ha bisogno: se ogni donna si sentisse amata e voluta con suo figlio, difficilmente avrebbero paura di lui». Ieri mattina è stata Marta a riconfermarlo: «Mi ha chiamato dalla sala parto perché diceva che non voleva più spingere. Le ho risposto che adesso toccava solo a lei, ma che io avrei “spinto” da casa. Ecco, basta poco, l’importante è che sia vero». Per questo Bonzi si arrabbia con chi mette in mano alle donne i certificati di morte dei loro figli, «senza dirgli che così il problema si aggrava, che le conseguenze se le porteranno dietro tutta la vita. Che l’aborto non è solo contro i bambini ma contro di loro». E spera che tutte possano passare di qui: «Normalmente mi dicono sempre che le ha mandate da me un’amica. Quanto vorrei che questa amica arrivasse ovunque! Ma i fondi sono sempre al lumicino, anche se grazie a quelli raccolti l’anno scorso alla prima edizione del gala, siamo poi riusciti ad aiutare dodici di mamme».
Questa mattina, oltre a un tetto, il Cav ha offerto a Francesca, senza lavoro e senza casa, tremila euro. È a lei e al suo bambino, e si spera a molte altre mamme e figli, che andranno i 40 euro di tutti i giovani e gli 80 di chi ha più di 40 anni che vorranno partecipare al grande gala per la vita.

@frigeriobenedet

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3 commenti

  1. Filomena

    Posto che ogni azione per supportare la donna in un momento difficile della sua vita è ovviamente positivo, forse bisognerebbe porsi non solo giustamente dalla parte delle donne che ricorrono all’aborto per difficoltà economiche, relazionali, ecc. ma anche dalla parte di quelle che non vogliono discutere delle proprie motivazioni. La legge dice che bisognerebbe rimuovere quelle condizioni che impediscono alla donna di portare avanti la gravidanza e questo è condivisibile perché presuppone che alla base ci sia la volontà di farlo. Non sono però altrettanto convinta che sia giusto cercare di convincere una donna che NON vuole portare avanti la gravidanza a prescindere dalle condizioni in cui si trova. Dunque giusto informare, compito dei consultori pubblici, ma fare pressioni per indirizzare in senso opposto alla sua volontà è sbagliato. Le associazioni specie se fondate su principi che non rispettano l’autodeterminazione della donna non dovrebbero essere a mio avviso inserite nelle strutture pubbliche o nei consultori che hanno prima di tutto il compito di essere neutrali rispetto alle scelte della donna e dovrebbero supportarle sia quando si trova in difficoltà e vorrebbe portare avanti la gravidanza, sia quando vorrebbe interromperà.

  2. Maria Stella leone

    cara Filomena,rileggi per favore la legge 194/78. E sappi che al cav le donne trovano ascolto,ciò che i medici spesso non sanno o non vogliono o non hanno tempo di offrire.

  3. Filomena

    Premesso che:
    – la legge n. 194 del 22 maggio 1978 ha legalizzato l’interruzione volontaria della gravidanza;
    – la suddetta legge prevede che le uniche entita’ preposte a garantire gli accertamenti medici, ad informare, ed aiutare a superare le cause che possono indurre la donna all’interruzione di gravidanza siano i consultori familiari e le strutture socio-sanitarie pubbliche;
    – la clinica Mangiagalli di Milano ha stipulato un accordo per ospitare al suo interno gli operatori del Cav (Centro di aiuto alla vita);
    – una nota del Mpv (Movimento per la vita) fa sapere che, secondo il suddetto accordo, i medici del reparto di ostetricia e ginecologia della clinica Mangiagalli saranno obbligati a raccomandare alle donne di incontrare gli operatori del Cav prima dell’intervento di interruzione della gravidanza;
    – il Cav ha come missione statutaria “la prevenzione dell’aborto”, che definisce “ingiustizia contro l’uomo” e “attentato alla Vita”.

    Mi chiedo se tale accordo non sia una violazione della suddetta legge n. 194 e se come cittadina che accede a uno dei servizi offerti gratuitamente dallo Stato, debba necessariamente passare dalle forche caudine del CAV prima di ottenere una IVG.

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