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Golpe turco: i seguaci di Gulen cadono nella trappola tesa da Erdogan

Non proprio un golpe fasullo, ma quasi. Ricercato, provocato, indotto. Erdogan ha cercato il fallo di reazione dei gülenisti, e lo ha trovato in pieno

Rodolfo Casadei
18/07/2016 - 14:14
Esteri
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Non proprio un golpe fasullo, ma quasi. Ricercato, provocato, indotto. Erdogan ha cercato il fallo di reazione dei gülenisti, e lo ha trovato in pieno. E chi sono i gülenisti? Sono i seguaci di Fethullah Gülen, miliardario islamista turco autoesiliatosi negli Stati Uniti nel 1999, promotore di due grandi ed efficacissime reti: un network di un migliaio di scuole private d’élite in Turchia e nel mondo, una consorteria di affiliati infiltrati a vari livelli nella magistratura, nella polizia, nell’esercito, nei media, nella finanza e nell’imprenditoria turchi.

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Per anni il movimento del predicatore in esilio ha collaborato col partito Akp dell’allora primo ministro Erdogan all’islamizzazione al rallentatore della Turchia laicista restituita dai militari al potere civile nel 1995. La collaborazione è stata particolarmente proficua fra il 2008 e il 2013, quando la rete di agenti dei servizi segreti civili e militari, procuratori della Repubblica e pubblici ministeri del movimento gülenista ha messo in piedi i processi Ergenekon e Sledgehammer contro militari, giornalisti e deputati kemalisti e di sinistra. Questi processi hanno permesso a Erdogan di tenere sotto scacco le forze armate, depositarie della laicità delle istituzioni instaurata dal fondatore della Turchia moderna Kemal Atatürk, e di sostituire i loro vertici con elementi a lui e agli altri islamisti più graditi.

Il rapporto fra le due entità islamiste si è logorato per gli accenti sempre più personalistici che l’avventura politica di Erdogan ha assunto negli ultimi anni. Quando il suo progetto di trasformare il paese in una repubblica ultrapresidenziale è diventato chiaro, i gülenisti, più legati a una visione corale e neo-ottomana del futuro politico della Turchia, si sono messi di traverso. Giornali e tivù vicine al movimento (Zaman, Bugun tv e Kanalturk) hanno cominciato a criticare il governo, ma soprattutto i magistrati vicini al movimento hanno aperto procedimenti per corruzione contro gli uomini del regime alla fine del 2013, arrivando a un passo dall’arresto di due figli di Erdogan.

La controffensiva di quest’ultimo ci ha messo un po’ di tempo a prendere corpo a causa delle molte partite in cui il leader turco si è trovato coinvolto: la crisi siriana e le spericolate manovre volte a manipolare contemporaneamente alleati arabi, alleati occidentali e Isis, il riesplodere della questione curda a cavallo della frontiera con la Siria, il braccio di ferro con l’Unione Europea intorno alla gestione dei profughi siriani e quello con la Russia intervenuta con le sue forze armate in Siria, le scadenze elettorali, gli attentati terroristici degli estremisti curdi e dell’Isis. Più che chiudere giornali e tivù dei suoi avversari, Erdogan al momento non poteva fare. Per raccogliere il consenso necessario attorno al suo progetto di repubblica ultrapresidenziale ha pigiato sull’acceleratore del nazionalismo, cioè ha riesumato la via militare alla soluzione del problema curdo interno. Ciò lo ha costretto a dialogare e negoziare coi vertici delle forze armate, ed è in tale contesto che è maturata la linea di condotta di cui il fallito golpe del 15-16 luglio è una benvenuta (per Erdogan) conseguenza.

Un po’ per intelligenza politica sua, un po’ per le pressioni dei vertici militari, il capo dello Stato ha deciso di cambiare linea: a livello giudiziario i processi contro i militari intentati nel 2008-2010 sono stati fatti fallire da giudici neutrali o vicini all’Akp, a livello di politica estera il nuovo primo ministro Yildirim ha inaugurato la politica del ramo d’ulivo, riallacciando i rapporti con Israele e con la Russia (rotti a causa rispettivamente dell’affaire Flottiglia di Gaza nel 2010 e dell’abbattimento di un caccia russo nel novembre scorso) e prefigurando un ruolo più costruttivo della Turchia nel negoziato per la fine della guerra civile siriana. Tutto questo mira a stabilizzare la leadership di Erdogan messa a dura prova dalle crisi esterne e interne nonostante i ripetuti successi elettorali, netti ma insufficienti al sovvertimento della Costituzione che lui ha in mente. Il prossimo passo avrebbe dovuto essere la messa sotto accusa di agenti dell’intelligence, militari e magistrati colpevoli di avere costruito false prove contro gli alti gradi delle forze armate nei processi Ergenekon e Sledgehammer.

Così Erdogan e i militari si sarebbero sbarazzati del loro ormai comune nemico interno: i gülenisti. Di qui la reazione disperata di questi ultimi: un tentativo di golpe mal preparato e mal eseguito, destinato sin dall’inizio al fallimento. Incapaci di eliminare o arrestare i vertici dello Stato, privi del sostegno della quasi totalità dei generali, i putschisti hanno condotto alla rovina se stessi, i loro sostenitori dentro ai corpi dello Stato e i soldati di leva che hanno semplicemente obbedito ai loro ordini. Il golpe lo hanno tentato dei militari, ma all’indomani del tentativo Erdogan ha colto la palla al balzo per defenestrare 2.745 magistrati che col golpe non c’entravano nulla, ma che risultano schedati come affiliati del movimento di Fethullah Gülen. Il quale non è personalmente coinvolto nell’accaduto, ma ci sono pochi dubbi che il tentato golpe abbia avuto origine nei ranghi del suo movimento, e non certo in quelli dell’élite militare. Un particolare balza agli occhi: all’indomani del fallito putsch sono state arrestate circa 6 mila persone, ma solo 6 generali. I processi Ergenekon e Sledgehammer avevano condotto all’arresto o alla defenestrazione di ben 43 generali.

Erdogan esce rafforzato dagli ultimi avvenimenti, anche se la strada che si trova di fronte continua ad essere in salita e al suo storico debito nei confronti dei gülenisti è succeduto un ben più pesante debito nei confronti dei militari. Non traggano in inganno gli attacchi all’America colpevole di dare rifugio al “terrorista” Gülen e l’ostentato riavvicinamento a Vladimir Putin: Erdogan sta cercando di massimizzare i vantaggi che gli vengono dal fallito golpe alzando ancora una volta il prezzo del suo allineamento agli interessi strategici occidentali. Anche le gesticolazioni sulla questione della pena di morte per i cospiratori potrebbero essere solo un altro atto della commedia che deve concludersi con l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea. Cosa che, se chi governa i grandi paesi della Ue avesse sale in zucca e acume politico, andrebbe evitata assolutamente oggi più di ieri.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

Tags: ankaracolpo di StatoesercitogulenislamizzazioneistanbulmagistratimilitariRecep Tayyip ErdoganTurchia
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