
Gli occhi di Madre Teresa, costretti da un Dio geloso a frugare nel buio sempre alla ricerca di Lui
«C’è un’oscurità terribile in me, come se ogni cosa fosse morta». Leggi tra le lettere ai confessori di Madre Teresa di Calcutta, pubblicate in Gran Bretagna sotto il titolo Come Be My Light, e ti viene in mente l’unica volta che l’hai incrociata, molti anni fa, a Rimini. Davanti agli occhi, come fosse stato appena ieri. Era così piccola di statura, che ti arrivava a stento al petto. E curva, come piegate le spalle sotto al peso di un oscuro giogo. Deforme quasi quel corpo, secondo i canoni estetici consueti.
Ma gli occhi. Dal basso all’alto, ti piantava in faccia quei suoi occhi chiari. Non aggressivi, ma nemmeno dolci, nel senso sentimentale del termine. Guardavano, quegli occhi, con un intenso interesse umano, come un appassionato d’arte davanti a un’opera mai vista. Come uno studioso che apra un manoscritto antico e raro. E sotto a quello sguardo, ci si sentiva brutalmente svelati. Questa donna sa leggerti dentro, ti eri detta in una sottile paura, e arretrando istintivamente di un passo, quasi a sottrarti – a richiudere le pagine del libro. E tuttavia, nel rapidissimo e tacito scambio qualcosa ti aveva subito rassicurato. Non c’era in quegli occhi chiari la luce fredda dell’avidità puramente intellettuale: non solo un’ansia di conoscere, ma una evidente passione di capire lo sconosciuto che le stava davanti, di comprenderlo. Un attimo, e già l’affondo da scrutatrice d’anime era finito, e si allargava in uno sguardo di misericordia. Come se, avendo in un momento già letto, e capito, inarrestabile fosse l’abbraccio, e il perdono.
Ritorni a quell’istante – intanto che facevi quasi distrattamente due domande per il servizio che dovevi scrivere – mentre leggi: «Io non ho alcuna fede. Io non ho niente, neppure la realtà della presenza di Dio nell’ostia consacrata». Oscurità, scriveva ai confessori, ghiaccio – lunga notte attraversata in silenzio, mentre senza darsi pace curava i disperati di Calcutta.
Si stupiranno, si scandalizzeranno di quel buio i nati tranquilli, e i soddisfatti. Ma la memoria di quegli occhi piantati in faccia è quella di una donna che cercava, con ostinata passione, dietro il volto di ogni uomo casualmente per un minuto incontrato, un Altro – sepolto, nascosto. Che inseguiva, ovunque, unico fine e orizzonte, Cristo. Forse, che quel buio le fosse dato perché non si fermasse, perché costantemente continuasse a intravedere e trovare dietro ai nostri occhi opachi il Dio che è “tutto in tutti”? Un Dio che non si concedeva mai pienamente, per essere ogni giorno scorto nelle facce della folla distratta, o disperata. Così che, vecchia, Teresa scrive: «Sono giunta ad amare il buio, perché penso che sia una piccolissima parte della sofferenza di Cristo sulla Terra». Amare il buio, che cosa a noi incomprensibile. Amare il buio in cui la lasciava un Dio geloso, che vuole essere ogni giorno riconosciuto nelle facce degli uomini.
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