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Giudizio universale, resurrezione, paradiso e inferno. Benedetto XVI ridà legittimità alle parole della Tradizione

Gianni Baget Bozzo
20/12/2007 - 0:00
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Il pontificato di Benedetto XVI prende sempre più forma come una lettura del Vaticano II in continuità con la Tradizione, quest’ultima intesa come la voce costante dello Spirito Santo nella Chiesa che anima, unendo armoniosamente cose vecchie e cose nuove. È caduta quella concezione del Vaticano II come un nuovo inizio, quasi una rottura con il passato per garantire la qualità umana e storica del cattolicesimo. Il Concilio fu causa di grandi speranze e di grandi sofferenze, e le une e le altre sembrano ora accolte nella lettura che di esse fa Benedetto, esprimendo così la realtà dello Spirito che solo può generare l’unità nelle differenze. Sia per le speranze che per le sofferenze causate dal Vaticano II, infatti, vale la regola propria del cattolicesimo dell’et-et, grazie alla quale sono unite insieme cose diverse, cose che nelle altre Chiese sono opposte.
Papa Ratzinger può fare questo perché i “segni dei tempi”, il criterio indicato dal Vaticano II per comprendere il cammino della Chiesa nella storia, sono interamente cambiati. È finita l’età delle rivoluzioni, in cui il comunismo sembrava a un tempo il vertice della filosofia e della politica, una realizzazione della speranza cristiana all’interno del tempo mediante l’impegno rivoluzionario e persino mediante la violenza più incredibile della storia umana. Il comunismo rappresentò per la Chiesa sia la più radicale pressione istituzionale sia la più grande sfida all’idea cristiana del cambiamento della storia. Il Novecento vide le generose aspirazioni dell’Ottocento cambiate dal Maligno nel passaggio dalle intenzioni ai risultati. Ciò che Gesù ha indicato con il nome di Satana è una realtà in cui si stagliano il mistero e la potenza della Redenzione.
La società globale, che si protende innanzi a noi come futuro certo, non consente però di immaginare il domani, perché  è al di fuori di ogni precomprensione e perché la tecnica non può prevedere i propri risultati. Di questo mondo l’uomo è oggi creatore mediante le sue opere, ma non ne ha un progetto né un disegno, né ha la certezza che il presente che egli produce ogni giorno porti in sé un benevolo futuro. È il fardello più pesante che grava oggi sulle giovani generazioni, che non possono fondarsi sulla memoria del passato (perché il passato è divenuto altro dal presente) né su una visione del futuro (perché il futuro è privo di immagine). I giovani perciò sono obbligati a vivere nel presente come unica categoria di tempo.
Solo un Dio ci può salvare. Questa è una frase dell’ultimo Heidegger, forse quella che più ci è rimasta impressa dell’autore che aveva fuso essere e tempo. Ed è questo che dice il Papa nell’enciclica sulla speranza, nella quale torna a invitare le culture a vivere etsi Deus daretur, a porre cioè la possibilità del Dio cristiano come senso della speranza del mondo nato dalla cristianità. Proporre Dio al mondo postmoderno come risposta al postmoderno, questa è la sfida che papa Benedetto lancia al mondo e anche alla Chiesa. Dopo che per decenni si era pensato che il problema della Chiesa fosse l’uomo, oggi il Papa pensa che il problema dell’uomo sia Dio. In questa prospettiva egli riprende le verità dimenticate, cioè quella sulla vita eterna che va dal tempo oltre il tempo, sino all’escatologia finale ribadita nei termini del Credo. Parla di giudizio universale, di resurrezione della carne, di inferno e di purgatorio. Quando si pensava che il problema della Chiesa fosse l’uomo, si cercava di mantenere la dimensione ecclesiale all’interno del tempo, come un segreto nascosto fra le infinite varietà della storia non conciliate tra di loro nell’unità e nella continuità della Tradizione. Ne venivano assolutizzate due esperienze, quella della storia divenuta forma della vita umana e quella della Chiesa vista solo come presenza nel tempo. La dimensione eterna veniva lasciata al sospiro e al rimpianto, era pronunciata quasi di lato, quando i teologi secolarizzati non potevano sentire. Oggi il Papa ridà legittimità alle parole che dicono che il mistero si compie nella storia e la storia nel mistero e il tempo si apre all’eternità in un’eternità aperta al tempo: l’esperienza cristiana della vita eterna, che va oltre la pienezza della vita umana. Il Papa si muove su sentieri antichi che non erano mai stati dimenticati dall’umile e semplice popolo della fede.
    [email protected]

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