La preghiera del mattino

Cari costano alla Germania opportunismo merkelliano e fanatismo green

Olaf Scholz
Il cancelliere tedesco Olaf Scholz (foto Ansa)

Sul Post si scrive: «Nel primo trimestre dell’anno, quello che va da gennaio a marzo, il prodotto interno lordo (Pil) della Germania si è ridotto dello 0,3 per cento rispetto al trimestre precedente e dello 0,5 rispetto allo stesso trimestre del 2022. Lo ha comunicato l’ufficio nazionale di statistica tedesco, che ha rivisto al ribasso le stime pubblicate a fine aprile, che vedevano un Pil sostanzialmente fermo. Anche nell’ultimo trimestre del 2022 il Pil si era ridotto, dello 0,5 per cento rispetto al trimestre precedente. È il secondo trimestre di fila in cui l’economia tedesca si contrae e – secondo una convenzione diffusa – gli economisti definiscono una circostanza del genere come “recessione tecnica”, ossia una situazione certificata di difficoltà economica di un paese. È però solo una convenzione, che non dà alcuna indicazione sulla gravità del rallentamento economico e sulla sua possibile durata, per cui bisogna guardare anche ad altri fattori, come le tendenze generali di produzione industriale, consumi, redditi delle famiglie, disoccupazione e così via».

La politica furbastra e bottegaia impostata da Gerhard Schröder ed implementata da Angela Merkel, basata su un accordo con la Russia per l’approvvigionamento energetico, con la Cina per sostenere l’export tedesco e con la Francia per subordinare il resto dell’Unione Europea, è fallita e ora Berlino deve pensare e impegnarsi politicamente in modo strategico e non solo opportunistico.

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Su Startmag Pierluigi Mennitti scrive: «Fin qui la valenza locale del voto. E poi c’è quella nazionale, che naturalmente appassiona di più il lettore non tedesco. E qui son dolori per i Verdi, che vedono confermato in un voto reale il grave momento di difficoltà finora segnalato solo dai sondaggi. Gli ecologisti lasciano nelle urne 5 punti e mezzo percentuali, scivolando all’11,9 per cento, livelli che ricordano i tempi magri del partito di nicchia. Sono tallonati dalla Linke (11,1 per cento) e dalla lista civica Biw, che sta per Bürger in Wut, tradotto senza troppi giri di parole, “cittadini incazzati”. Hanno conquistato il 9,5 per cento, oltre 7 punti in più della volta precedente, certamente aiutati (come in parte minore la Linke) dall’assenza del partito di estrema destra, Afd, escluso per vizi procedurali nella presentazione delle liste. Chiudono la catena dei partiti entrati in assemblea i liberali dell’Fdp con il 5,2 per cento. Il punto centrale con cui deve confrontarsi la direzione dei Verdi e soprattutto i suoi due ministri di punta (Robert Habeck all’Economia e Annalena Baerbock agli Esteri) è se le ultime decisioni imposte al governo sulla strada della transizione energetica – chiusura delle ultime tre centrali nucleari invece che un prolungamento della loro attività almeno per un altro inverno, legge sulla sostituzione delle caldaie a gas e petrolio con quelle a pompe di calore, operazione molto costosa in un periodo di crisi economica e di inflazione – siano sostenibili dalla società. L’accusa che viene mossa ai Verdi, e ad Habeck in particolare, è di essere tornati in breve tempo dal pragmatismo che aveva caratterizzato la prima fase di governo a un cocciuto ideologismo ecologista».

I Verdi tedeschi hanno dimostrato una coerenza atlantica ammirevole costringendo anche Olaf Scholz a rivedere un pericoloso accordo con la Cosco per il porto di Amburgo (confermato ma con i cinesi detentori di una quota di minoranza non di blocco). Però parte dei programmi dei Grünen è caratterizzata da posizioni molto rigide quando non fondamentalistiche, come nel caso dell’opposizione all’energia nucleare, che indeboliscono una coalizione dove i socialdemocratici sono particolarmente sensibili alle esigenze dei ceti popolari (la Spd non è un “partito Ztl” come il Pd italiano) e i liberali sono legati ad articolati interessi industriali. I recenti risultati elettorali locali commentati da Mennitti, citato in queste note, rilevano le difficoltà politiche di cui scrivo.

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Su Scenari economici Guido da Landriano scrive: «La scorsa settimana è stato il presidente Macron a fare marcia indietro sulle misure verdi. In un discorso ha affermato che l’Europa, per ora, si è spinta abbastanza in là: se introdurrà altre norme senza che il resto del mondo ne segua l’esempio, metterà a rischio gli investimenti e danneggerà l’economia. Questa settimana, il Partito popolare europeo – un raggruppamento di centrodestra che comprende i cristiano-democratici tedeschi, il partito del presidente della Commissione Ursula von der Leyen – sembra essersi unito a lui. Il partito starebbe valutando la possibilità di ritirare il proprio sostegno al Green Deal della Commissione europea. Si tratta di un insieme di proposte che prevede, ad esempio, un obiettivo a livello europeo per l’eliminazione delle emissioni nette di carbonio entro il 2050. Mentre 11 paesi dell’Ue si sono già posti obiettivi legalmente vincolanti per raggiungere lo zero netto entro il 2050 (o il 2045 nel caso di Germania e Svezia), se il Green Deal dovesse saltare non ci sarebbe alcun obbligo per gli altri Stati membri di seguirne l’esempio».

In quel complicato mescolarsi di decisioni degli Stati nazionali membri e decisioni di un governo europeo (la Commissione) non inquadrato in una Costituzione democratica che ne segni i confini, la questione tedesca si intreccia a quella dell’Unione, innanzi tutto per quel che riguarda la strategia della politica energetica.

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Su Formiche Francesco De Palo scrive: «A Berlino non si voterà a breve, nel 2025, ma la corsa per succedere al cancelliere Scholz ha già iniziato a investire anche quella Cdu guidata da Friedrich Merz, non a caso caratterizzata da un intenso dialogo con il numero uno del Ppe, Manfred Weber. In prima battuta le prossime europee rappresenteranno uno step significativo sullo stato di salute dei democristiani tedeschi, che dopo l’uscita di scena di Angela Merkel si erano affidati a Annegret Kramp-Karremnbauer, salvo poi correggere il tiro con Merz. Quest’ultimo, proprio per definire già da ora prospettive e indirizzi, è tra i sostenitori di un accordo tra Ecr e Ppe».

Proprio l’intreccio tra questione nazionale e questione europea pone le basi per una possibile nuova fase politica, sia della Germania sia dell’Unione, mettendo all’ordine del giorno una maggioranza popolari-conservatori che fissi alcuni nuovi indirizzi nazionali e comunitari, consentendo peraltro anche ai socialdemocratici di ridefinirsi, magari con una fase di “opposizione” anche nell’Europarlamento, in modo meno opportunistico, e ai Verdi su basi più realistiche. L’affannato inseguirsi di elezioni nazionali ed europee rende, però, tutto questo processo particolarmente complicato.

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