Gandolfini: «La vita è un bene da tutelare sempre»
«Non possiamo assistere rassegnati allo tsunami che sta colpendo il cuore e la mente degli uomini, delle donne, dei giovani del nostro tempo. Sostenere la natalità e la famiglia – “culla della vita”, come l’ha definita papa Francesco – significa lavorare per la felicità del nostro Paese, ecco perché domani a Roma sono invitati davvero tutti». Così a Tempi il professor Massimo Gandolfini, portavoce della Manifestazione Nazionale per la Vita che oggi vedrà un massiccio e colorato corteo partire dalle 14 da Piazza Repubblica per arrivare alle 16 ai Fori Imperiali. Oltre 170 associazioni aderenti, pullman in arrivo da molte regioni, testimonianze forti da ascoltare, e un titolo che sa di missione: Scegliamo la Vita. Tutto a rimarcare quell’«eccezione italiana» profetizzata dal cardinal Ruini di cui Gandolfini, già leader dei due Family Day, sembra rappresentare il braccio operativo.
Professore, che novità ci sono per questa edizione della Manifestazione per la Vita?
Certamente la novità più importante e che ci riempie di soddisfazione è il Messaggio che il Santo Padre papa Francesco ha voluto inviare a tutti i partecipanti alla Manifestazione. Anche a quelli che per motivi di salute e di età non saranno presenti e che ci accompagneranno con le loro preghiere. È un messaggio di grande speranza e di forte incoraggiamento a non rassegnarsi alla dilagante cultura della morte e dello scarto. Con questa esortazione nel cuore e nella mente, siamo sicuri che il clima che vivremo sarà di gioia, di festa, di grande comunione con chiunque avverte che promuovere la vita significa fare il “bene” non solo personale ma dell’intero nostro Paese, che – non possiamo dimenticarlo – è afflitto da un disastroso inverno demografico.
Eppure al G7 Macron ha continuato a cavalcare il riconoscimento dell’aborto come “diritto universale” dei cittadini europei. Cosa ne pensa?
Penso che utilizzare l’aborto, cioè un tema assolutamente delicato, come strumento di propaganda elettorale è irresponsabile e sciagurato. Quando si parla di “diritto” si pensa a un bene fondamentale, da tutelare perché a vantaggio di tutti. Viene in mente la libertà, la salute, il lavoro, il voto, l’istruzione. L’eliminazione di un bimbo innocente può – di grazia – considerarsi un “bene comune” e, dunque, essere tutelato come “diritto”? Basta il buon senso a dire di no.
Associazioni pro life e pro family costantemente attaccate, sedi vandalizzate; la ministra per la Famiglia Eugenia Roccella silenziata e costretta a lasciare gli Stati Generali della Natalità. Tutto ciò potrebbe rafforzare negli italiani la percezione della portata controcorrente e “profetica” della battaglia in favore della vita?
Lavorare per difendere la vita e la famiglia oggi può dare l’impressione di una velleitaria lotta contro i mulini a vento. È enorme la sproporzione fra i mezzi e i capitali impiegati a favore dell’ideologia del “diritto” all’aborto o al suicidio assistito, ma noi abbiamo la certezza che la “verità” ha una sua forza intrinseca dirompente. La storia ci insegna che tutte le ideologie contro l’uomo, contro la legge naturale inscritta nel profondo di ognuno, sono miseramente cadute. Certo, hanno lasciato dietro di sé un drammatico numero di vittime, ma è proprio per questo che scendiamo nella pubblica agorà, per portare un po’ di luce e di speranza, per difendere i più deboli e assicurare – come ci ha insegnato san Giovanni Paolo II – che di fronte all’iniquità «non ci rassegneremo mai».
In Spagna una nuova legge prevede che chi manifesta contro l’aborto può finire in carcere. Ma anche nella sua Brescia (lo ha raccontato a Tempi la presidente di Federvita Lombardia Elisabetta Pittino) è allo studio un Daspo per evitare che qualcuno preghi davanti gli ospedali. Come leggere questa escalation?
Viviamo un tempo in cui di “dittatura” del pensiero unico, connotato da una palese schizofrenia: mentre si pretende una libertà assoluta che annulla ogni limite umano, naturale e morale, si mettono in atto misure che vietano la libertà di chi non si allinea all’ideologia imperante. Il “sale” dell’ordinamento democratico – il dialogo e la libera espressione delle idee – è tanto ipocritamente sbandierato quanto concretamente negato. È la prassi di ogni dittatura.
In questi giorni si sono però ricordate le parole pronunciate da Enrico Berlinguer nel 1972: «Noi non lottiamo per la libertà di abortire, non riteniamo l’aborto una conquista civile, né tantomeno un fatto positivo. Noi non siamo abortisti, l’aborto resta per noi un male». Per Antonio Socci queste parole dovrebbero molto imbarazzare Elly Schlein. Succederà?
Ho vissuto in prima persona gli anni che portarono alla legge 194, con tutto il dibattito che comportò. Ricordo molto bene quelle frasi di Enrico Berlinguer che, lette alla luce dei fatti che seguirono, mi suonarono come un’astuta trappola per attirare il voto favorevole dei cattolici. Ma non amo fare il processo alle intenzioni, voglio dunque prendere quello parole per quello che penso che siano: un sussulto di onestà intellettuale e morale di fronte ad un evento – l’aborto – che è, rimane e rimarrà sempre un dramma, una tragedia con due vittime, il bimbo e la sua mamma.
Nessun imbarazzo dunque?
Non credo proprio. Oggi viviamo il tempo della menzogna innalzata a valore: l’aborto non è più la soppressione di un bimbo innocente nel grembo materno, ma è «libertà di scelta della donna e tutela della sua salute riproduttiva». Così lo sta presentando nel suo programma Elly Schlein e il suo partito. E così tutti i partiti della sinistra. Penso onestamente che Norberto Bobbio, Enrico Berlinguer, Oriana Fallaci e perfino Simone Veil si rivoltino nella tomba…
Cosa risponde all’accusa che solitamente si fa ai pro life, cioè quella di voler criminalizzare la donna che sceglie di abortire?
Rispondo che l’accusa non sta in piedi. È certamente sbagliato criminalizzare le donne che abortiscono, ma non è meno criminale non alzare un dito per dare alla donna la possibilità di portare avanti la sua gravidanza. Quando la “scelta” abortiva è condizionata da ragioni economiche, sociali, di salute o lavorative – cioè da cause che con la buona volontà si possono affrontare e risolvere – non è più una “scelta”. Diventa piuttosto una sconfitta imposta da condizioni che si aveva il dovere di rimuovere. È chi non ci prova ad essere davvero contro le donne, questo deve essere chiaro a tutti.
Sta dicendo che sulla vera libertà di scelta i pro choice fanno orecchie da mercante?
Può suonare come un paradosso lessicale ma è certamente così. Se di scelta si vuole parlare, è necessario che la mamma abbia davanti due vie: abortire ma anche non abortire, dondole quindi la concreta possibilità di portare avanti la sua gravidanza, fino alla gioia del proprio “bimbo in braccio”. Per esperienza pluridecennale posso affermare che non ho mai incontrato una donna che si sia pentita di non aver abortito, mentre ho asciugato lacrime e consolato dolori di centinaia di donne che hanno interrotto volontariamente la propria gravidanza.
A Borgo Egnazia Giorgia Meloni ha ripetuto che non vuole toccare la 194, eppure l’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio, eletto al parlamento europeo nelle file del Pd, sulla Stampa ha accusato la premier di usare l’aborto «come propaganda». Come interpretare le due posizioni?
Devo fare una premessa. Certamente è per mia insufficienza intellettuale, ma non riesco a capacitarmi nel modo più assoluto di come un “cattolico” possa sostenere l’aborto e/o votare a favore di forze che fanno dell’aborto la loro bandiera identitaria. Giovanni Paolo II ha ammonito con lucidissima chiarezza che «non è mai lecito collaborare con il male», o dare ad esso il sostegno del proprio voto, come recita il n.73 dell’enciclica Evangelium Vitae.
Ciò detto?
Circa la “propaganda”, a me sembra che stia accadendo esattamente il contrario di quanto dice l’ex direttore di Avvenire. Da una parte c’è Giorgia Meloni, la quale sostiene che la 194 vada applicata nella sua interezza, mettendo quindi in atto tutte le misure preventive atte a rimuovere le cause che spingono ad abortire; dall’altra parte – e addolora dirlo, perché Marco Tarquinio è un “fratello nella fede” – ci sono Pd e compagnia, che fanno dell’aborto un cavallo di battaglia politica contro l’attuale governo. Torno a dire che è davvero vergognoso utilizzare un tema tanto delicato – carico di aspetti umani, culturali, morali, religiosi sensibilissimi – per farne uno spot elettorale.
Maria Rachele Ruiu, presidente della Manifestazione, ha chiesto di essere presenti a Roma per «mostrare quanto sia necessario, urgente e stupendo scegliere la vita», perché nel corteo «c’è un posto che solo tu puoi occupare». Quali, invece, le sue parole d’invito?
Voglio lanciare a tutti un incoraggiamento: “Fare il Bene, fa bene”. Promuovere e difendere la vita, sempre e di chiunque, dal concepimento alla morte naturale, è innegabilmente un Bene, e questo Bene ricade su ciascuno di noi, sui nostri cari, sui nostri amici, sul nostro stesso Paese. Chi vuole essere felice, ha davanti a sé una via sicura: “Scegliamo la Vita”.
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