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Gambetto di Google

Di Leone Grotti
30 Gennaio 2022
C’è un motivo se il campione del mondo di scacchi ha dovuto fare la mossa “sbagliata” per tornare a vincere come non accadeva in una finale da cinque anni. E la colpa, tanto per cambiare, è del solito algoritmo “perfetto”
Finale mondiale di scacchi tra Magnus Carlsen e Ian Nepomniachtchi
Sfida tra Magnus Carlsen (a sinistra) e Ian Nepomniachtchi nella finale del Mondiale di scacchi giocata dal 24 novembre al 16 dicembre scorsi a Dubai, Emirati Arabi (foto Ansa)

La finale dei mondiali di scacchi era già iniziata da una settimana a Dubai quando nella sesta partita tra il campione in carica, il norvegese Magnus Carlsen, e lo sfidante, il russo Ian Nepomniachtchi, il 3 dicembre, è successo qualcosa che non accadeva da cinque anni: qualcuno ha vinto. L’ultima volta che in finale un giocatore aveva prevalso sul rivale in una gara a cadenza classica, con ore di tempo a disposizione per studiare le mosse, era stato nel novembre 2016, nella decima partita tra Carlsen e Sergej Karjakin. Da allora, ci sono stati due pareggi nel 2016, 12 patte nel 2018 e altre cinque nel 2021 prima della fatidica vittoria al termine del match più lungo della storia delle finali di scacchi: oltre otto ore di gioco e 136 mosse. Da quel momento, Nepomniachtchi non si è più ripreso, perdendo altre tre partite su cinque, commettendo errori plateali e lasciando il titolo nelle mani di quello che probabilmente è il giocatore più fort...

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